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Semmai la patria non avesse ragione

Les Ondes Martenot
Lingua: Italiano



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[2008]
Un "extra" dal DVD di "Contadini Marini"
Testo di Luca Checchi e Leonardo Palmerini
An extra from the DVD included in "Contadini Marini"
Lyrics by Luca Checchi and Leonardo Palmerini


Testo originale trascritto all'ascolto dal DVD da Riccardo Venturi.
The original lyrics have been transcribed on direct listening by Riccardo Venturi.




Les Ondes Martenot, o Le Onde Martenot, sono al loro sito ufficiale con testi, mp3 e video scaricabili liberamente.



Eccole, le Onde Martenot. O “Les Ondes Martenot”. Sul loro sito si chiamano in francese; sul loro album, appena uscito, “Contadini Marini”, sono invece in italiano. In francese o in italiano, sono loro. Per me, una specie di spiritelli Ariel che aprono e chiudono cerchi; magari non è neanche che lo abbiano voluto o che lo vogliano, ma è così.

Bisognerà che leggiate quel che c'è scritto sotto, che risale a due o tre anni fa. Proviene da quel tempo che ho passato lontano, e che è stato generato da un certo giorno in cui le Onde Martenot, o Les Ondes Martenot, c'erano. Da quel giorno non avevo più rivisto nessuno di loro; e la loro presenza era rimasta proprio quella del bizzarro strumento da cui prendono nome, un suono agitato nell'aria con le mani, un soffio, un'onda.

Poi è capitato, all'inizio di questo mese di agosto del 2008, che Les Ondes Martenot siano state invitate a Fosdinovo, sulle Alpi Apuane, in piena Apuamater, a fare da “dopo concerto” in una serata in cui mi sono ritrovato, assieme a Daniela che è co-amministratrice di questo sito, a sbattere i gomiti fra Ivan della Mea da una parte, Marco Rovelli dall'altra, Davide Giromini (che due giorni prima aveva presentato nello stesso luogo il suo 2076: Il ritorno di Kristo) all'intorno e Daniele Sepe con Auli Kokko (che ha dimenticato il finlandese: e dire che avevo preparato anche la frasetta di prammatica...) a imperversare.

E ci siamo arrivati con tanto di “bus navetta” in quel posto impervio, il “Museo della Resistenza”. In una serata che ha chiuso davvero un cerchio. Quando me ne stavo in piedi, con sei anni di più sul groppone, e Luca Checchi non ha sbagliato nemmeno un attimo nel riconoscermi. Un abbraccio forte, di quelli che non si scordano. Lo stesso con Leonardo Palmerini. E poi giù a sparare cazzate e a bere vinaccio, come se non ci si vedesse da due giorni.

Queste, e lo voglio dire per una volta con orgoglio per niente malcelato, sono le mie persone. Sono le persone cui voglio bene. Quelle che non si scordano. Quelle che passano sopra il tempo e lo sanno ricongiungere. E mi vedevo quell'ultima invernata a Livorno, quell'incontro alla "Gran Guardia" con una bottiglia in tasca; e mi sentivo canzoni e vento.

Le[s] Onde[s] Martenot. Anche, a mio parere, uno dei massimi gruppi della scena musicale italiana. Massimi quanto sono minimi, appartati, invitati ai “dopoconcerto”, coi loro progetti di vite agre, di banda a luminosi margini di rarefazione, di intelligenza che non fa dimenticare mai il calore. Di una canzone come di un abbraccio.

Coi loro testi a volte impervi, a volte pure alchimie verbali, le voci del Checchi e della Lara Vecoli che si fondono per qualche misteriosa decisione di Vulcano; e a volte canzonacce da osterie, bestemmie nascoste negli abbulibirbi (umani, sempre umani) che sembrano ripresi dalla “Linea” di Osvaldo Cavandoli.

Si sono messi a scrivere anche una agghiacciante “canzone contro la guerra”, questa qui, inserendola negli “Extra” del DVD allegato all'album. Cantandola anche nel “dopo concerto”. Dico agghiacciante perché precisa e affilata come un Opinel, una netta distinzione scandita da poche note, cantata sottovoce.

E forse sarà bene che lo ascoltiate questo album che nasce forse introvabile, come introvabili sono le cose più preziose. Scrivete a info@lesondesmartenot.it o a leonardopalmerini@inwind.it e compratelo, fatevelo mandare, fate quel che volete. Sì, faccio spudorata pubblicità. Quando posso, come posso e se posso. Poi leggete quel che scrissi tempo fa su Bielle. Così per ricollegare. Così per. E benedetto Noè che fe' la vigna! E comunque sappia Noè che, in segreto, bestemmio. A volte neppure tanto in segreto. [RV]


Ascoltando Le Onde Martenot
(A disfarsi, a farsi, a ridisfarsi)

di Riccardo Venturi; da Bielle, 30 marzo 2006.

Tra le canzoni che non ho potuto ascoltare la sera del 30 marzo 2002, ci sono quelle de Les Ondes Martenot. Le Onde Martenot sono uno stranissimo strumento musicale simile al theremin; e Les Ondes Martenot sono il gruppo musicale più stralunato che mi sia stato dato di conoscere. Un po’ viareggini, un po’ livornesi, hanno vinto una volta un Premio Ciampi (quello vero, non quello di “Resurrezione”) per la migliore cover con una versione da brividi di “Madonnina del Duemila”. Dicevo che non ho potuto ascoltarle, le loro canzoni; eppure avevo fatto di tutto per farceli venire, budello d’eva. Telefonate, incontri totalmente ubriachi nella hall del teatro La Guardia, e-mail. Accettarono con piacere. Di tutto. C’era Max Manfredi. C’era Alessio Lega. Andrea Parodi. C’erano quasi tutti.
Soltanto che il sottoscritto aveva appena urtato contro un bivio della vita e se ne stava steso su un pavimento con dentro tutto l’alcool del mondo; aveva fatto solo in tempo a cercare di cantare “Il natale è il ventiquattro” e poi era crollato. Gli avevano azionato la leva dello scambio, che poi è quella che è approdata qui, questa sera, a quattro anni di distanza meno pochi giorni.

“A disfarsi, a farsi, a ridisfarsi” viene da una poesia. La poesia l’ho scritta io che ero un ragazzino di sedici o diciassett’anni, una poesia che ho perso definitivamente proprio la sera del 30 marzo 2002. Stava nel vecchio computer di Livorno. Il vecchio computer di Livorno è stato formattato con tutto quel che c’era dentro. Soltanto poche cose le ho potute ricuperare. Delle altre restano frammenti nella memoria, disiecta membra, lacerti di ricordi (tanto per fare il verso al “Nome della Rosa”).
E’ un po’ quello che potrebbe essere il motto di tutta la mia vita; ma della vita di chi non lo è, del resto. Onde di sovvenimenti come Onde Martenot. Non li ho mai più sentiti. Mi è rimasto un cd del tutto artigianale che mi avevano regalato. Un cd contenente cinque canzoni bizzarre e bellissime, “Abbi pazienza”, “Benedetto Noè che fe’ la vigna”, la cover di Madonnina del Duemila, e poi la fantasmagorica “Abbulibirbi umani”, di cui ebbe a parlare anche Giorgio Maimone su “Bielle”, se non erro (usando il mio stesso termine: “stralunata”). L’ho sempre ascoltato pochissimo, quel cd. Come fosse qualcosa che mi riportava alla mente quella giornata, quella serata che pure sarebbe del tutto errato dire che non avrei mai voluto vivere. Tutto il contrario. Bisognava viverla.
Bisogna vivere ogni cosa, anche se poi in gran parte sei costretto a fartela raccontare. Così, ad esempio, mi hanno raccontato che Les Ondes Martenot arrivarono trovandosi in mezzo al marasma più completo e a un’atmosfera da tagliare col coltello, senza capirci assolutamente niente.
Erano arrivati a cose già accadute. A me, probabilmente, mi videro steso a terra con una tizia che mi carezzava la testa. Mi hanno pure detto che erano quasi spaventati. E non li ho più sentiti, no.

Presi un treno, quella notte. Visto che ho parlato di scambio, è del tutto logico che avessi preso un treno. Però di quel treno, magari, ne parlerò un’altra volta. Stasera, invece, voglio continuare con Les Ondes Martenot.
Perché sono tornato a casa e mi sono tornati a mente; e allora ho preso il cd e me lo sono riascoltato. In quattro anni sarà sì e no la quinta volta che lo faccio, forse nemmeno. Mi sono chiesto se esistessero ancora. Se suonassero ancora. Google era lì che occhieggiava. Esistono. Esistono eccome. Ci sono anche le facce e me li ricordo tutti, a partire da Leonardo Palmerini che era quello che mi aveva dato il numero di telefono e che chiamavo sempre per dirgli di venire alla Piola del Nessie, la Piola dedicata a un ragazzo che si era impiccato pochi mesi prima, il 25 novembre 2001, proprio in quel locale ed al quale avevo regalato una grammatica polacca. Un ragazzo che era un mio amico. Michele, si chiamava.

Esistono e suonano ancora come e quando loro pare. Hanno un sito. Si presentano così:
“Bisognerebbe spiegare il motivo della scelta della nostra linea musicale e lirica, un po’ antica un po’ moderna. Forse una forte influenza è determinata dal luogo da cui proveniamo, che aldilà delle sue particolarità contestuali, in generale è mediterraneo. Dall’aver vissuto l’adolescenza negli anni ottanta, con una sensibilità ed un amor proprio particolari, profondamente attenti alla drammaticità e all’ironia del cinema neorealista, con tutti i suoi personaggi contraddittori, particolari, con una sensibilità adolescenziale. Alzarsi col sole, a sei anni e guardare la televisione, ma poi vendemmiare, vivere, ascoltare, trovare serio, veramente commosso Julio Iglesias, riposarsi dopo questo tentativo di giustizia imparziale ascoltando finalmente Conte, De Andrè, Piero Ciampi, immedesimarsi con Mina, scellerarsi con Patty Pravo, impelagarsi anche con altri, più difficili da salvare, e avere la nonna che ti canta le sue canzoni, della resistenza e dell’amore. Les Ondes Martenot nascono nel 1999 dal rinnovato desiderio, comune a tutti i suoi componenti, di esibirsi e confezionare canzoni. Dopo diverse esperienze e riflessioni ad ognuno è piaciuto sedersi con gli altri e suonare, guidati da uno slancio entusiastico-maturo colto al pelo dell’età consentita.
L’esigua attività live è dovuta ai motivi personali soliti, che danno comunque modo al gruppo, almeno di scegliere i modi e i tempi per sentirsi a proprio agio.”

Hanno fatto altre canzoni dopo quelle cinque, Les Ondes Martenot. Sul sito ci sono. E’ possibile leggerne i testi ed ascoltarle; vi consiglio di farlo se vi va e se avete tre quarti d’ora di tempo. Ma che domanda, poi. Il tempo c’è sempre. Basta prenderselo. Basta riprenderselo, per questa e ogni altra cosa. Poi, magari, si dirà che non ne valeva la pena; ma bisogna dirlo sempre dopo, non prima. I titoli delle canzoni de Les Ondes Martenot valgono già da soli una visita al sito. C’è una canzone dedicata a Charles Bukowski che si chiama “La sera che io e Massimo ubriachi vedemmo morire un cane”. Ce n’è un’altra, che si chiama Editoriale, che è presentata come una “canzone di anarchia dedicata a Fabrizio de André”, che parla di Caino e Abele e che si apre con una frase di Alexander Langer: “Vorrei continuare ad apprezzare gli altri e ad esserne apprezzato senza secondi fini. Forse anche per questo converrà tenersi lontano da ogni esercizio del potere”. Anche Langer si è ammazzato, già.

E poi c’è anche una canzone che si chiama “In segreto bestemmio”. Di questa vorrei riportare il testo per intero. Per farlo mi tocca prima salvare un’immagine .gif scritta in caratteri minuscoli, e poi ricopiarla dopo averla ingrandita a dismisura. Lo hanno fatto apposta, quei pazzi. Ne sono certo. Per accedere a quel che scrivono bisogna sudarsela, dio cane (in segreto, e a volte nemmeno tanto in segreto, bestemmio anch’io. Quanto ho bestemmiato quella sera là, lo sa solo iddìo.). Fa così:

In segreto bestemmio con la lingua salata.
E poi mi asciugo la bocca con il fuoco che schiocca nel bidone degli inferi.
Troppo difficile per te scovarmi ora in questo anelito d’anfratti e di clausura.
Intento io son a pisciarmi l’anima.
In segreto bestemmio ahi invidia, ahi lussuria.
Spegnete la luce gendarmi degl’inferi di lato marcisce nel vetro ogni gloria.
Dalla parte del buio mi corico incline al dolor.
M’annicchio nell’umido giaciglio d’erba putrida baldoria di fumo e sgomento in segreto bestemmio e bestemmio così:

Segue una tonnellata di incomprensibili bestemmie ad libitum. Magari mi sbaglio. Ma niente mi toglie dalla testa, dopo aver letto il testo e averla ascoltata con le sue atmosfere e le sue musicalità da Tom Waits, di avergliela almeno in parte ispirata. Proprio quella sera. Certo, sicuramente mi sbaglio. Non è neppure che sia un desiderio, e magari mi hanno semplicemente rimosso e parlano di chissà chi e di chissà cosa.
Dimenticavo: tra i progetti che Les Ondes Martenot stanno portando avanti ce n’è uno che si chiama “La vita agra”.

Rimuovere dal tappeto
l'avversario appena vinto

Rimuovere dal tappeto
l'avversario appena vinto

È un dovere sincronizzato sull'altare
al devoto altruismo imperialista

E uggia maggiore
per i cani alla catena

È la vera sopraffazione
della giustizia

È il delirio
del buon soldato

È la meritoria azione
del dio mancato
della mela con il verme

Tra la scheggia e la bomba
tra la scheggia e la bomba

Tra la scheggia e la bomba
quando la patria non ha ragione

È il vizio consueto ingenerato
da una pietas-s-s di conquista

È il nostro viatico
in questa foresta chiassosa

Di pudende esposte
nelle ghiacciaie catodiche

Di democrazie esportate
su cingoli armati

E ossimori omissioni missioni
di pace militare

E ancora sapere
e saper fare:

La netta distinzione
quando la patria non ha ragione

La netta distinzione
quando la patria non ha ragione

La netta distinzione
quando la patria non ha ragione

Semmai la patria
non avesse ragione

inviata da Riccardo Venturi - 19/8/2008 - 23:31




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