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La città del Disordine

Nicola Manzan
Langue: instrumental


Nicola Manzan

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2021
La città del Disordine (Storie di vita del Manicomio San Lazzaro)


Nicola Manzan è un polistrumentista trevigiano, diplomato in violino, che possiamo dire sia il suo strumento principale con cui agli inizi suonerà in vari ensemble e orchestre di musica classica. Negli anni 90 ha militato in band di noise hardcore punk i Full Effect, poi nei Ronin con Bruno Dorella (Sigillum S, OVO, Bachi da Pietra), fino ad arrivare al suo progetto principale che è Bologna Violenta (un concentrato violentissimo di harsh elettronica al fulmicotone, alcune traccie mi fanno pensare ai Naked City, senza il sax, che fanno una colonna sonora di un thriller/giallo sanguinolento), fino alle tante collaborazioni con i vari Baustelle, Teatro degli Orrori e altri nomi noti
“La Città del Disordine” è un progetto davvero molto interessante, concepito per il Museo di Storia della Psichiatria di Reggio Emilia, dove Nicola ha praticamente riportato in musica (a suo modo) i contenuti di alcune cartelle cliniche di pazienti che per lui erano i più significativi o forse i suoi preferiti per la loro storia vissuta, che sono stati in cura all’ex Ospedale Psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia.
In allegato troviamo un booklet, davvero curato che narra un po le storie di vita di ogni persona citata, con foto, disegni (forse fatti dai pazienti), mappe dei luoghi, e scansioni delle reali cartelle cliniche che spiegano dettagliatamente la storia e le motivazioni delle loro degenze. Questo lavoro mi ha davvero colpito appena lo ho ascoltato, non solo per la complessità e originalità del progetto stesso, ma perché ogni canzone oltre alla sua storia ha una sua specifica musicale.

I brani hanno spesso un filo comune, ma spaziano su diverse attitudini e contesti sonori. Sono un po' tante piccole colonne sonore di alcune vite difficili, fra sonorità dal sapore un po epico, filastrocche elettroniche ironiche ma alquanto oblique, dissonanze quasi sperimentali, tonalità inquiete e contesti sonori che ricordano di base anche certa musica classico contemporanea.
Tra le tracce da menzionare ci sono: Adele B., una sorta di inizio simil filastrocca ipnotica e un po barocca, che pian piano si trasforma in un percorso come dentro ai meandri di lunghi corridoi spersi in un non posto, ma che poi rientrano nel contesto simil-filastrocca dai toni più atmosferico pacati e speranzosi.
Vincenzo O., bellissima traccia che ti fa rimanere in sospeso con il suono delle tastiere/synth predominanti dai toni inquietanti che poi si buttano in sonorità weird, un po ironiche ma sempre umbratili e vagamente minacciose. Arcangelo L., tinte un po da spettacolo circense, dissonanze e atonalità in accordi ripetuti in modo non simmetrico, con un finale dal mood malinconico e cinematico. Carolina D., altro bellissimo brano, mood ipnotico e vibrante fatto da accordi ripetuti in sospensione che ti tengono in continua tensione e aspettative. Concetta G., è di sicuro la mia traccia preferita, sonorità sperimentali ma gran pathos cinematico, dissonanze di synth quasi come fossero uscite da un lavoro dei The Residents che ti tengano schiacciato alla sedia. Un brano che potrebbe essere perfetto come colonna sonora per un film di Dario Argento o un thriller cupo italico a la Pupi Avati. Uno dei lavori nel panorama italiano fra i più validi e originali che ho ascoltato in questi anni.
sbcomunicazione

Isabella Z. M.



Di Novellara, 31 anni, cucitrice, nubile
Ricoverata al San Lazzaro il 17 ottobre 1888
Diagnosi: paranoia persecutiva ed erotica
Uscita migliorata il 19 ottobre 1889
Ricoverata al San Lazzaro il 18 ottobre 1895
Morta il 7 giugno 1899 per tubercolosi polmonare

A parte una certa irritabilità di carattere, Isabella non ha mai dato problemi alla sua famiglia, finché non ha iniziato a sviluppare idee di persecuzione, convinta che la sorella le volesse male. La situazione è peggiorata quando ha iniziato a fantasticare su una presunta relazione amorosa con un giovane medico, con cui diceva addirittura di essersi sposata di nascosto.
Durante il ricovero sembra docile e ordinata, ma ha anche crisi di angoscia. “Ha sempre mostrato una formidabile grafomania […]; sono scritti fatui per tutti i versi a caratteri minuti per cui sono messi a profitto i più piccoli ritagli di carta e anche l’interno della busta”: in cartella troviamo davvero molte lettere, scritte soprattutto al padre e alla sorella, con richiesta di essere riportata a casa, e al presunto marito, a cui indirizza parole d’amore e lamentele.
Viene dimessa dopo un anno, su richiesta della famiglia; tuttavia, dopo un lungo periodo di benessere, ritorna preda del suo delirio e anche i suoi scritti perdono in chiarezza: “Qui ne ammutolino vedersi tanta intrepidezza, che nel cuor mio provo una costernazione alla quale va conturbato di rimanere nella lieta speranza di continuare lietamente i giorni”. Le speranze di dimissione di Isabella però non trovano riscontro e rimane ricoverata fino alla morte per tisi.


Adele B.



Di Castelnovo Monti, 13 anni
Ricoverata al San Lazzaro il 2 luglio 1886
Diagnosi: in osservazione per allucinazioni
Dimessa guarita l’1 settembre 1886

“Sulla fine del maggio 1886 destò molto rumore nei paesi della montagna reggiana la notizia di una meravigliosa apparizione della Madonna a una ragazzina di 13 anni. […] La notizia di questo miracolo, oltre ad avere suscitato l’entusiasmo e la meraviglia degli abitanti del paese, si era diffusa sempre di più anche in altri paesi distanti, sicché in breve tempo il luogo dell’apparizione divenne oggetto di numerosi pellegrinaggi”. Così scrive il direttore del San Lazzaro, Augusto Tamburini, per raccontare come mai è stata ricoverata Adele: l’entusiasmo popolare per un miracolo aveva spinto il prefetto a farla internare, per verificare con una perizia se le apparizioni non fossero piuttosto un caso di allucinazioni.
In realtà Adele non aveva mai parlato della Madonna, ma solo di avere visto una bambina in un cespuglio di ginepro. L'amica che era con lei aveva paura che si trattasse di un demone, e perciò le due ragazzine erano fuggite, ma nei giorni successivi Adele era tornata presso il ginepro, per vedere di nuovo la bambina: la voce della presunta apparizione si era così presto diffusa ai paesi vicini.
Al momento del ricovero Adele viene descritta come una ragazzina “capricciosa, vanitosa, indocile, maliziosa, ma di una malizia infantile, che si sfoga nel fare piccoli dispetti, nel dire qualche piccola e sciocca bugia e nel curiosare ogni cosa”. Si adatta presto alla vita del manicomio, tuttavia il suo ricovero è molto breve: viene dimessa come guarita e Tamburini conclude la sua perizia attribuendo le visioni a uno stato allucinatorio, ma senza riscontrare la necessità di tenerla ricoverata. Il cespuglio di ginepro viene comunque fatto estirpare dalle autorità.


Arcangelo L.



Di Formigine, 57 anni, coniugato, commerciante di cappelli
Ricoverato al San Lazzaro il 26 luglio 1885
Diagnosi: paralisi progressiva
Morto il 10 agosto 1885 per cistite emorragica purulenta, edema cerebrale

“Uomo di costituzione fisica valida e robusta, d’intelligenza svegliata e maliziosa, d’indole impetuosa, di condotta morale non certo esemplare”: Arcangelo è un commerciante di cappelli, che è finito in rovina nel tentativo di estendere i propri affari e annientare i rivali. Negli ultimi mesi è diventato irascibile, violento, bestemmiatore, salvo poi iniziare all’improvviso a frequentare la chiesa, “mostrandosi religioso fino al bigottismo” e manifestando un chiaro delirio mistico: “Urlava, dava pene in nome di Dio, mandava questi all’inferno, quello in paradiso, perché egli era anche padrone della grazia”. Viene condotto al San Lazzaro con un sotterfugio, facendogli credere di poter sottoscrivere un contratto per la vendita di cappelli.
Al momento del ricovero si trova all’ultimo stadio del contagio da sifilide e si intravedono i segni della paralisi progressiva che l’ha colpito: “Si avverte un inceppamento caratteristico nella pronuncia delle parole”. Tale stato, allora incurabile, lo conduce alla morte in due settimane: dopo giorni in preda a deliri di grandezza e fasi di grande agitazione, peggiora rapidamente e scivola in un'apatia da cui non si riprenderà fino al decesso.


Vincenzo O.



Di Lanciano, 43 anni, celibe, mendicante
Ricoverato al San Lazzaro il 2 settembre 1890
Diagnosi: semimbecillità
Trasferito al manicomio di Aversa l’8 marzo 1891

Vincenzo è un uomo che vive ai margini. Conosciuto nel suo paese come personaggio strambo, e spesso preso in giro dai compaesani, soprattutto bambini e ragazzi, nei mesi caldi è soggetto a periodiche crisi in cui si spoglia, si graffia, scaglia sassi contro le figure sacre in chiesa. Durante una di queste crisi, mentre scappa da un gruppo di monelli, butta a terra una donna incinta, causandone l'aborto e la morte per setticemia: viene quindi arrestato e inviato al San Lazzaro per verificare il suo stato di mente. All'arrivo Vincenzo si presenta scomposto e agitato, continua a parlare e ha mille richieste. Ha delle ferite non rimarginate alle dita, non sa bene dove si trova, chiede con insistenza cibo e sigari, ma progressivamente il suo contegno si fa più tranquillo.
La sua diagnosi (“semimbecillità”) fa riferimento a una disabilità intellettiva congenita, accompagnata da periodiche fasi di agitazione.
“Tale stato di disordine mentale – concludono i medici – è tale da renderlo affatto irresponsabile degli atti commessi”: non viene quindi inviato in carcere, ma in un altro ospedale psichiatrico, perché la sua “inguaribile malattia mentale” rende “necessaria la sua custodia in manicomio”.


Carolina D.



Di Finale Emilia, 38 anni, nubile, massaia
Ricoverata al San Lazzaro il 24 settembre 1887
Diagnosi: paranoia persecutiva, poi demenza precoce paranoide
Morta il 28 maggio 1907 per malattia del cuore (lesioni valvolari)

La famiglia di Carolina non è nuova ai disturbi mentali: il padre ha sofferto di sifilide, la madre è stata ricoverata in ospedale psichiatrico, uno dei fratelli si è suicidato. Alla morte del padre Carolina è andata a vivere con un fratello, non potendo vivere da sola: non è mai riuscita a lavorare stabilmente, “è sempre stata di carattere leggero, facile a irritarsi, sospettosa. Ha avuto una certa istruzione, era appassionata ai romanzi, esaltata”.
Viene ricoverata dopo un periodo di agitazione, in cui ha tentato anche di buttarsi nel fiume. Al San Lazzaro si mostra pensierosa, dichiara di non essere ammalata, anche se i medici notano subito che soffre di allucinazioni uditive, da cui il suo delirio di persecuzione: si sente braccata, teme di essere uccisa. Rifiuta il cibo per paura che sia avvelenato, diffida delle altre ricoverate e si spaventa anche quando si avvicinano i medici.
Dopo qualche giorno di grande agitazione diventa progressivamente più calma e silenziosa, tranne verso sera, quando tornano le allucinazioni. Le note della cartella si interrompono dopo poche settimane, ma Carolina muore al San Lazzaro dopo quasi 20 anni di ricovero.


Cristina M.



Di 30 anni, coniugata
Ricoverata al San Lazzaro per cinque volte dal 12 gennaio 1869 per iperfrenia, mania recidiva, mania acuta, frenosi periodica
Morta il 18 febbraio 1906 per apoplessia

Cristina viene ricoverata al San Lazzaro per cinque volte, con diagnosi che fanno riferimento ad alterazioni mentali ricorrenti. Dopo il secondo ricovero i medici notano che “ritornata a casa, si è mostrata di contegno sempre abbastanza normale, sebbene di tanto in tanto trovasse cause di agitazione in alterchi coniugali provocati il più spesso da lei per accessi di gelosia e si mostrasse allora assai ciarliera, irritabile, esaltata, ma solo in modo transitorio. […] Il 21 marzo poi le morì un figliolo in seguito a malattia polmonare.”
Durante i periodi di ricovero, sempre più lunghi, ha un comportamento tranquillo, seppur con qualche stranezza nell’abbigliamento: “Tiene al collo una grossa corona e sul capo dei fiori. […] Di tanto in tanto estrae dei santi e il ritratto del figlio mortole da poco e quando può li dispone lungo le pareti”.
Dopo ogni ritorno a casa, tuttavia, la sua condizione peggiora e si accentuano le liti col marito e con i vicini. L’ultimo ricovero, quando ha ormai più di 60 anni, si conclude con la morte per crisi cardiaca.


Concetta G.



Di Modena, 11 anni
Ricoverata al San Lazzaro il 18 gennaio 1889
Diagnosi: idiotismo epilettico
Trasferita al ricovero di mendicità il 27 marzo 1889
Ricoverata al San Lazzaro il 29 marzo 1889
Uscita non migliorata, sotto garanzia del padre, il 17 giugno 1889

Concetta arriva al San Lazzaro quando ha solo 11 anni, perché si sono aggravate le crisi epilettiche di cui soffre sin dal primo anno di età. Non parla, ha problemi nei movimenti, riesce a manifestare solo pochi sentimenti e non riconosce chi la circonda. “Mangia con appetito, ma deve essere imboccata. Solo riesce da sé a mangiare del pane, quando il tozzo gli è stato messo nella mano. Manda grida inarticolate e suoni di ottusa gioia, accompagnati da risa”; delle grida precedono anche le sue periodiche crisi epilettiche.
Considerata una malata cronica e senza speranza di recupero, viene mandata al ricovero di mendicità, ma torna al San Lazzaro dopo solo due giorni, perché considerata ingestibile: “Trasferita al ricovero di mendicità il 27 marzo 1889, è stata rimandata a questo Stabilimento due giorni dopo (29 marzo), perché, secondo la lettera di quella direzione, non era possibile tenerla in quell’Istituto per grande sudiciume e la tendenza a morsicare tutti quelli che l’avvicinavano”. Alla fine viene riconsegnata al padre, che la riporta a casa.
Non era raro al tempo trovare in ospedali psichiatrici pazienti con problemi neurologici o bambini con disabilità che venivano ricoverati quando la famiglia non riusciva più ad accudirli.


Arturo A.



Di Ancona, 23 anni, celibe, contabile
Ricoverato al San Lazzaro il 7 agosto 1876
Diagnosi: demenza primitiva
Trasferito il 7 aprile 1878 al Manicomio di Macerata

La diagnosi della cartella di Arturo parla di “demenza primitiva”, dovuta cioè a patologie cerebrali, ma la sua storia ci fornisce diversi dettagli sulla sua vita prima del ricovero. “Preso da una gran voglia di studiare”, dedicava le notti all'approfondimento di Dante e Tasso, ma era stato anche vittima di uno scherzo crudele quando alcuni amici avevano organizzato un finto incontro con una ragazza di cui era invaghito. Era stato preso dall’idea di essersi reso ridicolo, si sentiva perseguitato dai parenti della ragazza e aveva iniziato a interagire sempre meno, diventando apatico.
Questo era anche il suo comportamento in manicomio: “È manifesta in lui l’inerzia, la profonda apatia, la noncuranza di tutto ciò che lo riguarda. È obbedientissimo: eseguisce tutto ciò che gli vien detto di fare”.
Dopo circa un anno e mezzo viene trasferito nell’ospedale psichiatrico di Macerata, più vicino alla sua residenza anconetana: qui i medici lo descrivono come incapace di formulare pensieri e senza alcune memoria del suo passato; è solitamente apatico, silenzioso, rinchiuso nel suo mondo, ma ha scatti di aggressività in cui rompe gli oggetti che gli capitano sotto mano.

envoyé par Dq82 - 8/9/2021 - 17:27




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