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Il censimento

Guido Bedarida [Eliezer Ben David]
Lingua: Italiano (Giudeo-livornese (Bagitto))


Lista delle versioni e commenti


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[1938]
Sonetto di Guido Bedarida (Eliezer Ben David)
Dalla silloge Mare Ammarim ("Amaro degli Amari")
Pubblicata in: Guido Bedarida, Ebrei di Livorno - Tradizioni e gergo in 180 sonetti giudaico-livornesi, Firenze, Le Monnier, 1956
Cura e note di Pardo Fornaciari

Pardo Fornaciari, insegnante, etnomusicologo, capocorista, studioso e cultore di ogni tipo di tradizione livornese, formidabile détourneur, traduttore e un numero imprecisato di altre cose ancora è, oltreché un nostro antico sodale e contributore, probabilmente l'ultimo conoscitore del Bagitto, vale a dire il linguaggio giudeo-livornese. Di ebrei, a Livorno, ce ne sono ancora parecchi e, come spesso mi piace ricordare, è rimasta forse l'unica città in Italia dove gli ebrei non appartengono necessariamente agli strati elevati e borghesi della popolazione, ma anche a quelli popolari (personalmente, quando abitavo a Livorno, ho incontrato una volta un autista di autobus ebreo). Il giudeo-livornese, persosi oramai da decenni e decenni (e a cui, naturalmente, diede il colpo finale la shoah che imperversò anche a Livorno e in Toscana) si chiamava Bagitto: un termine derivato dal giudeo-spagnolo bajito, cioè “bassino, cosa di poco conto, inferiore”. Nell'ebraismo livornese sefardita, la lingua “ufficiale” rimase a lungo il portoghese, ma tutti gli ebrei assimilarono il livornese come linguaggio quotidiano rivestendolo, come tanti altri linguaggi del genere, di parole ebraiche. Questo, ovviamente, in estrema sintesi: per saperne molto di più, bisogna ricorrere a quanto scritto da Pardo Fornaciari stesso in un completo articolo pubblicato sul suo sito, la cui lettura è imprescindibile per comprendere appieno questa pagina autenticamente “speciale”, tanto più in questi ultimi tempi.

Speciale a cominciare dal fatto che questa pagina non riporta una “canzone”, bensí un componimento poetico, e nella fattispecie un sonetto. Non è il primo caso del genere nel sito, anche se le poesie mai musicate sono, usualmente, inserite tra gli “Extra” (si veda, ad esempio, la ”Madre” di Attila József); in questo caso, invece, costruisco una pagina normale, attribuita al suo autore, senza escamotages, motu proprio e, magari, con la segreta speranza che la musica, prima o poi, ce la scriva sopra qualcuno (perché non lo stesso Pardo Fornaciari col suo coro dei Garibaldi d'Assalto?). Speciale, perché il sonetto in questione fu scritto da un ebreo livornese nell'anno 1938, e questa data dovrebbe, proprio in questi giorni, dire qualcosa. Il 18 settembre 1938, ottant'anni fa, Benito Mussolini, da un palco posto davanti al Municipio di Trieste, in piazza Unità d'Italia, annunciò l'introduzione delle Leggi Razziali, una delle infamie più basse tra le tante commesse dal fascismo italiano. Ottant'anni dopo? Ottant'anni dopo, i fascisti sfilano di nuovo a Trieste e altrove. Se la Storia dovrebbe essere “maestra di vita”, si potrebbe dire che avrebbe bisogno urgente di tornare un po' a scuola, visto che il suo insegnamento non sembra molto efficace, sia in Italia che nel resto d'Europa e del mondo.

Il sonetto, che ovviamente riprendo proprio dal saggio di Pardo Fornaciari, fu scritto da Guido Bedarida (1900-1962). I Bedarida sono tra le casate più antiche e note dell'ebraismo sefardita, italiano e livornese (derivato dalla località francese di Bédarrides, l'antica Bitturritae romana nel dipartimento di Valchiusa, che fu sede di una forte comunità israelitica fino al 1694). Guido Bedarida, che scriveva anche con lo pseudonimo ebraico di “Eliezer Ben David” (“Eliezer figlio di David”) era figlio di Davide Bedarida, ebreo livornese che si era trasferito ad Ancona con la sua attività industriale (la “Casalana Bedarida”, una fabbrica di lana per materassi con oltre 100 dipendenti e fornitrice del Regio Esercito Italiano); e ad Ancona Guido era nato il 18 febbraio 1900, per tornare poi a Livorno con la famiglia dopo gli anni del ginnasio. Si era laureato in giurisprudenza a Pisa nel 1922, l'anno dell'avvento del fascismo, con una tesi sul “Valore del mandato giuridico inglese in Palestina” e aveva iniziato l'attività forense con successo. La aveva però interrotta di sua spontanea volontà, turbato dalla possibilità di dovere difendere persone che, a suo parere, meritavano invece una condanna. Decise quindi di dedicarsi alla ricerca storica, all'attività di scrittore e poeta, e al collezionismo d'arte. Contrario per principio ad ogni forma di violenza, a differenza di molti ebrei italiani fu antifascista della prima ora. Aveva sposato Pia Toaff, sorella di Elio Toaff.

Nel 1938, con l'introduzione delle leggi razziali fasciste, assieme ai tre figli giovanissimi e alla moglie, Guido Bedarida dovette, come tanti altri, fuggire dall'Italia: la famiglia Bedarida aveva dovuto togliere tutti i figli dalle scuole e chiudere la fabbrica. Guido Bedarida riparò in Francia; nel 1943 rientrò in Italia, nascondendosi nelle campagne toscane e sfuggendo più volte alle ricerche dei repubblichini e dei nazisti. Tornò a Livorno nel 1945, riprendendo la propria attività di studioso e scrittore, sia pure in modo meno attivo e prolifico a causa dei problemi di salute che gli erano insorti durante l'esilio e la fuga; morì all'età di 62 anni a Livorno, il 18 agosto 1962.

Accanto all'attività di studioso e storico, Guido Bedarida coltivava anche la poesia popolare; e la scriveva proprio nell'antico Bagitto, nel giudeo-livornese di cui è considerato il più importante autore, tra le poche cose che vi sono state scritte e che ancora lo testimoniano. In Bagitto si trovano scritte perlopiù scenette popolari, contrasti e cose del genere. Nel 1956, presso la casa editrice Le Monnier di Firenze, Guido Bedarida pubblicò Ebrei di Livorno – Tradizioni e gergo in 180 sonetti giudaico-livornesi; l'opera contiene una silloge intitolata Mare Ammarim “Amaro degli amari” dedicata alle persecuzioni nazifasciste tra il 1938 e il 1945. E' da questa silloge che Pardo Fornaciari, nel suo saggio sul Bagitto, ha tratto questo sonetto scritto da Guido Bedarida nell'estate del 1938, quando il censimento delle comunità ebraiche delle varie città italiane preannunciava l'introduzione delle leggi razziali. Qui lo riporto, assieme alle note interpretative di Pardo Fornaciari (ed ad alcune mie personali, per un ancor migliore comprensione): in pratica, lo estrapolo. Un'estrapolazione a ottant'anni da un'infamia senza pari, in un linguaggio scomparso. [RV]
Anco in Ispagna i' re ci disse un giorno
Accosì (e fa 'n ber bollo anco 'r Testone!) : [1]
“Resti judio? Ti segni dar tal giorno. [2]
Poi si vedrà... 'un è perseguizione... [3]

Voi fa' cosa ti pare? Vai a Livorno!” [4]
Avesse visto noi che porverone
S'alzò! Si viense [5] qui; tre case e un forno;
Guardi ora, po' po' di bottegone! [6]

Sì, èramo [7] Giudei per e Granduchi
E ni si funzionò da tappabuchi
Ma 'Granduchi ni dettero a' Giudei

Un posàcolo, un'arte, caro lei, [8]
Quattro secoli 'n pace. E oggi, 'un si creda,
Pace? Guerra!... Neqamà se 'n veda! [9]

[1] Anche Mussolini (il “Testone”) fa un bel colpo (PF)

[2] Resti ebreo? Dal tale giorno ti vai a censire (RV)

[3] Non è persecuzione (PF)

[4] Un motto popolare conosciutissimo, originatosi in Toscana ai tempi delle Leggi Livornine medicee (1595) che concedevano non solo libertà di culto a Livorno, ma anche l'esenzione dalla pena per i delinquenti che vi si stabilivano, a patto di lavorare onestamente e di non muoversi dalla città. Tutto questo ha formato il particolare carattere di Livorno e della sua popolazione. La comunità ebraica livornese di formò in questo periodo, soprattutto con ebrei giunti dalla Spagna e dal Portogallo (lo stesso Bagitto reca caratteri fonetici e lessicali provenienti sia dallo spagnolo che dal portoghese). (RV)

[5] Si venne (PF)

[6] Guardi ora che gran mercato (PF)

[7] Eravamo (PF). Si noti che la forma popolare livornese (e toscana di costa, ad esempio anche elbana) per “eravamo” è assai più vicina alla forma latina originaria, eramus (RV).

[8] Un luogo tranquillo, dove lavorare (PF)

[9] Che ne scaturisca vendetta! (PF) Qui il Bagitto di Guido Bedarida usa, unico caso nel sonetto, la parola ebraica per “vendetta”, neqamà (נקמה). Unico caso, ma assolutamente pregnante per il valore della parola. In altre composizioni in Bagitto (si veda il saggio di Pardo Fornaciari), specialmente nelle composizioni di Cesarino Rossi, il numero delle parole ebraiche è assai più elevato.

inviata da Riccardo Venturi - 6/11/2018 - 21:20



Lingua: Ebraico

תרגום לעברית של ריקארדו ונטורי
Traduzione ebraica di Riccardo Venturi
7-11-2018 00:03
המפקד

גם בספרד, המלך אמר לנו זאת,
יום אחד (ואפילו מוסוליני מכה עכשיו חזק):
“אתה רוצה להישאר יהודי? מהיום הזה תלך למפקד,
ואז נראה...זה לא רדיפה.

אם אתה רוצה לעשות מה שאתה רוצה, לך לליבורנו.”
אילו ראה כמה דברים עשינו!
אנחנו באנו לכאן; שלושה בתים ותנור,
נראה עכשיו איזה שוק גדול!

כן, הײנו יהודים לדוכסים הגדולים,
ועבורם מילאנו את העיר,
אבל הדוכסים הגדולים נתנו ליהודים

מקום שקט לעבודה,
ואת השלום במשך ארבע מאות שנים.
והיום? שלום? מלחמה! יהיה נקמה!

7/11/2018 - 00:04


Una risposta per Guido Bedarida, che ci ha inviato un messaggio nel Guestbook:

שרום לך, גוידו, ותודה רבה על ברכתך.

Riccardo Venturi - 20/11/2018 - 10:45


Buongiorno, si conosce anche la melodia? Dove la posso trovare, in caso? Grazie! miriam camerini

Miriam Camerini, Milano - 9/9/2020 - 14:46




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