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Inno della Rivoluzione

anonimo
Lingua: Italiano




[Fine 800]
L' “Inno della Rivoluzione”, noto anche con il titolo de “La Rivolta”, viene erroneamente fatto risalire agli anni della rivoluzione russa, tra il 1917 e il 1921. In realtà il testo appare già nell’edizione statunitense (1904 o 1905) in lingua italiana del “Canzoniere dei Ribelli”, quello che per primo fu il giovane tipografo anarchico svizzero Carlo Frigerio (1878-1966) a dare alle stampe in quel di Berna nel 1899.
È quindi plausibile una datazione della canzone alla fine dell'Ottocento.
Testo trovato su Il Disco Logoro, nella sezione dedicata ai canti anarchici.

Il Cammino dei lavoratori, o Il Quarto Stato, di Giuseppe Pellizza da Volpedo, 1901.
Il Cammino dei lavoratori, o Il Quarto Stato, di Giuseppe Pellizza da Volpedo, 1901.



Sull’ Archivio Sonoro della Puglia scopro che nel 1977 l’ “Inno della Rivoluzione” fu raccolto a San Nicandro Garganico dalle voci di Antonio e Maria Gravina, marito e moglie, braccianti, nati entrambi nel primo decennio del secolo scorso.

Il canto anarchico in italia

Il testo del canto è presente nel volume “Il canto anarchico in italia nell'Ottocento e nel Novecento", a cura di Santo Catanuto e Franco Schirone, 2009.
Presto all'armi o fratelli chiamiamo
a compir la tremenda vendetta
questa gente affamata che aspetta
della lotta suprema il segnal.

Dei reietti il vessillo innalziamo
la bandiera color di sangue
ed il popol che soffre e che langue
scenderà ne la pugna mortal.

I borghesi, i regnanti ed i preti
con le ciarle bendaronci gli occhi
noi tremanti piegammo i ginocchi
e per loro sgozzammo il fratel.

Ora basta non stiam più queti
sotto il peso di tanta vergogna
non più muti subiamo la gogna
de l'infamia lo scherno crudel.

Ora basta le messi e le terre
i palagi son nostri e le reggie
non vogliamo più essere un greggie
di codardi dannati a soffrir.

Siam milioni, la forza siam noi
né mancar ci potrà la vittoria
ove manchi - la forca e la gloria
per i forti che sanno morir.

Su da forti spezziam le catene
che ci avvinsero i polsi tanti anni
sol lo schiavo che teme i tiranni
non è degno d'aver libertà.

Ai borghesi diremo: “Per voi
di noi stessi ci femmo assassini
del fratello noi fummo i Caini
ma or siam stanchi di tanta viltà”

Da le valli dai monti dal mare
scenda venga la santa canaglia
l'affamato che muor sulla paglia
la venduta donzella e l'artier.

Implacata discenda a spezzare
le barriere di tanti dolori
distruggendo governi e signori
oppressori del corpo e pensier.

inviata da Bernart Bartleby - 3/1/2014 - 13:08




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