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Quel giorno a Cinisi

Daniele Biacchessi
Langue: italien


Daniele Biacchessi


Ha braccia forti e un corpo allungato, come il suo volto.

Capelli mai pettinati, e baffi, e barba. E uno sguardo che osserva lontano.

Al di là delle persone e dei fatti, al di là della sua stessa terra.

È un uomo curioso, Giuseppe Impastato detto Peppino.

A Cinisi c’è nato e cresciuto.

Cinque gennaio 1948.

Il padre, Luigi Impastato, è un commerciante, amico di mafiosi.

Lo zio, Cesare Manzella, è un capomafia, verrà ucciso nel 1963 nel corso di una guerra tra clan.

È giovane Peppino.

Lui ha fatto un giuramento.

«Così, come mio padre, non ci diventerò mai.»

Fonda il circolo Musica e Cultura.

Molti dicono che è matto, ma altri giovani del paese si uniscono a lui. Siamo nel 1976. Insieme a un gruppo di amici mette su una radio libera. La chiama Radio Aut.

Piccola emittente che denuncia le illegalità, i progetti criminali, gli affari della mafia.

Nel 1978 Peppino Impastato decide di candidarsi come indipendente nelle liste di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali.

Ma all’appuntamento non arriverà mai.


9 maggio 1978.

Sono le ore 1,40.

Il macchinista del treno Trapani-Palermo, Gaetano Sdegno, è un onesto lavoratore.

Quella tratta di ferrovia siciliana che sfila tra le campagne e i coltivi la conosce bene.

Località "Feudo", territorio di Cinisi.

Il macchinista avverte uno scossone, ferma la locomotiva e osserva il binario:é tranciato.

Così avverte il dirigente della stazione ferroviaria che, alle 3,45 chiama al telefono i carabinieri.

Arrivano sul posto.

Compiono il primo sopralluogo.

Il binario è divelto per un tratto di circa 40 centimetri e nel raggio di 300 metri sono sparsi resti di una persona.

E’ Giuseppe Peppino Impastato.


Sul posto accorrono decine di paesani curiosi.

I compagni di Impastato vengono tenuti a distanza.

Ciò che rimane del corpo di Peppino viene raccolto in un sacco di plastica e portato via.

Lo stesso 9 maggio il procuratore aggiunto Gaetano Martorana invia un fonogramma al procuratore generale in cui parla di "attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda". Scriveva il magistrato:


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Undici aprile 2002, ventiquattro anni dopo.

Le 17.15. A Palermo esce la Corte.

Ergastolo a don Tano Badalamenti. È il mandante dell’assassinio.

Leggo un passo dalle conclusioni della sentenza.

“….Grazie alle dichiarazioni dei collaboratori, non solo si è potuto restringere il cerchio della responsabilità alla cosca di Cinisi, ma anche è rimasto accertato che Badalamenti Gaetano, avvalendosi delle prerogative di capo di detta famiglia, decise l'omicidio e la sua esecuzione con quelle particolari modalità, essendo il maggiore interessato sia all'eliminazione del Giuseppe Impastato, che alla successiva messa in scena dell'attentato; cosicché il composito quadro indiziario, per la sua gravità, precisione ed univocità, impedisce ogni altra lettura alternativa”.


Scrive la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giuseppe Impastato:

“E’ ancora tutto da scrivere il capitolo del rapporto tra mafiosi e forze dell’ordine. E quando finalmente lo si scriverà si potrà vedere che è popolato da noti capimafia che con i carabinieri trattano, si accordano, fanno dei patti. Un doppio gioco, ma alla luce del sole”.




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