Ha braccia forti e un corpo allungato, come il suo volto.
Capelli mai pettinati, e baffi, e barba. E uno sguardo che osserva lontano.
Al di là delle persone e dei fatti, al di là della sua stessa terra.
È un uomo curioso, Giuseppe Impastato detto Peppino.
A Cinisi c’è nato e cresciuto.
Cinque gennaio 1948.
Il padre, Luigi Impastato, è un commerciante, amico di mafiosi.
Lo zio, Cesare Manzella, è un capomafia, verrà ucciso nel 1963 nel corso di una guerra tra clan.
È giovane Peppino.
Lui ha fatto un giuramento.
«Così, come mio padre, non ci diventerò mai.»
Fonda il circolo Musica e Cultura.
Molti dicono che è matto, ma altri giovani del paese si uniscono a lui. Siamo nel 1976. Insieme a un gruppo di amici mette su una radio libera. La chiama Radio Aut.
Piccola emittente che denuncia le illegalità, i progetti criminali, gli affari della mafia.
Nel 1978 Peppino Impastato decide di candidarsi come indipendente nelle liste di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali.
Ma all’appuntamento non arriverà mai.
9 maggio 1978.
Sono le ore 1,40.
Il macchinista del treno Trapani-Palermo, Gaetano Sdegno, è un onesto lavoratore.
Quella tratta di ferrovia siciliana che sfila tra le campagne e i coltivi la conosce bene.
Località "Feudo", territorio di Cinisi.
Il macchinista avverte uno scossone, ferma la locomotiva e osserva il binario:é tranciato.
Così avverte il dirigente della stazione ferroviaria che, alle 3,45 chiama al telefono i carabinieri.
Arrivano sul posto.
Compiono il primo sopralluogo.
Il binario è divelto per un tratto di circa 40 centimetri e nel raggio di 300 metri sono sparsi resti di una persona.
E’ Giuseppe Peppino Impastato.
Sul posto accorrono decine di paesani curiosi.
I compagni di Impastato vengono tenuti a distanza.
Ciò che rimane del corpo di Peppino viene raccolto in un sacco di plastica e portato via.
Lo stesso 9 maggio il procuratore aggiunto Gaetano Martorana invia un fonogramma al procuratore generale in cui parla di "attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda". Scriveva il magistrato:
<>
Undici aprile 2002, ventiquattro anni dopo.
Le 17.15. A Palermo esce la Corte.
Ergastolo a don Tano Badalamenti. È il mandante dell’assassinio.
Leggo un passo dalle conclusioni della sentenza.
“….Grazie alle dichiarazioni dei collaboratori, non solo si è potuto restringere il cerchio della responsabilità alla cosca di Cinisi, ma anche è rimasto accertato che Badalamenti Gaetano, avvalendosi delle prerogative di capo di detta famiglia, decise l'omicidio e la sua esecuzione con quelle particolari modalità, essendo il maggiore interessato sia all'eliminazione del Giuseppe Impastato, che alla successiva messa in scena dell'attentato; cosicché il composito quadro indiziario, per la sua gravità, precisione ed univocità, impedisce ogni altra lettura alternativa”.
Scrive la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giuseppe Impastato:
“E’ ancora tutto da scrivere il capitolo del rapporto tra mafiosi e forze dell’ordine. E quando finalmente lo si scriverà si potrà vedere che è popolato da noti capimafia che con i carabinieri trattano, si accordano, fanno dei patti. Un doppio gioco, ma alla luce del sole”.
Capelli mai pettinati, e baffi, e barba. E uno sguardo che osserva lontano.
Al di là delle persone e dei fatti, al di là della sua stessa terra.
È un uomo curioso, Giuseppe Impastato detto Peppino.
A Cinisi c’è nato e cresciuto.
Cinque gennaio 1948.
Il padre, Luigi Impastato, è un commerciante, amico di mafiosi.
Lo zio, Cesare Manzella, è un capomafia, verrà ucciso nel 1963 nel corso di una guerra tra clan.
È giovane Peppino.
Lui ha fatto un giuramento.
«Così, come mio padre, non ci diventerò mai.»
Fonda il circolo Musica e Cultura.
Molti dicono che è matto, ma altri giovani del paese si uniscono a lui. Siamo nel 1976. Insieme a un gruppo di amici mette su una radio libera. La chiama Radio Aut.
Piccola emittente che denuncia le illegalità, i progetti criminali, gli affari della mafia.
Nel 1978 Peppino Impastato decide di candidarsi come indipendente nelle liste di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali.
Ma all’appuntamento non arriverà mai.
9 maggio 1978.
Sono le ore 1,40.
Il macchinista del treno Trapani-Palermo, Gaetano Sdegno, è un onesto lavoratore.
Quella tratta di ferrovia siciliana che sfila tra le campagne e i coltivi la conosce bene.
Località "Feudo", territorio di Cinisi.
Il macchinista avverte uno scossone, ferma la locomotiva e osserva il binario:é tranciato.
Così avverte il dirigente della stazione ferroviaria che, alle 3,45 chiama al telefono i carabinieri.
Arrivano sul posto.
Compiono il primo sopralluogo.
Il binario è divelto per un tratto di circa 40 centimetri e nel raggio di 300 metri sono sparsi resti di una persona.
E’ Giuseppe Peppino Impastato.
Sul posto accorrono decine di paesani curiosi.
I compagni di Impastato vengono tenuti a distanza.
Ciò che rimane del corpo di Peppino viene raccolto in un sacco di plastica e portato via.
Lo stesso 9 maggio il procuratore aggiunto Gaetano Martorana invia un fonogramma al procuratore generale in cui parla di "attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda". Scriveva il magistrato:
<
Undici aprile 2002, ventiquattro anni dopo.
Le 17.15. A Palermo esce la Corte.
Ergastolo a don Tano Badalamenti. È il mandante dell’assassinio.
Leggo un passo dalle conclusioni della sentenza.
“….Grazie alle dichiarazioni dei collaboratori, non solo si è potuto restringere il cerchio della responsabilità alla cosca di Cinisi, ma anche è rimasto accertato che Badalamenti Gaetano, avvalendosi delle prerogative di capo di detta famiglia, decise l'omicidio e la sua esecuzione con quelle particolari modalità, essendo il maggiore interessato sia all'eliminazione del Giuseppe Impastato, che alla successiva messa in scena dell'attentato; cosicché il composito quadro indiziario, per la sua gravità, precisione ed univocità, impedisce ogni altra lettura alternativa”.
Scrive la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giuseppe Impastato:
“E’ ancora tutto da scrivere il capitolo del rapporto tra mafiosi e forze dell’ordine. E quando finalmente lo si scriverà si potrà vedere che è popolato da noti capimafia che con i carabinieri trattano, si accordano, fanno dei patti. Un doppio gioco, ma alla luce del sole”.
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