Tú me preguntas cómo fue el acoso aquel que obtuve.
Metes la lengua en mi cabeza, en mi pensar, en mi algo.
Y bien: te dejo suponer que abandoné mi pueblo,
que huí rompiendo el crudo umbral como un puma aterrado.
Pero yo te aseguro que no me han quitado nada
puesto que de esa tierra no me podrán apartar.
Pues, ¿cómo van a robar mi volcán con su volcana?*
¿Desviar de mi alma el embocar del río con su ría?
¿Hacharme en el paisaje el árbol con su arboladura?
¿Matarme a plena sien el rudo piojo con su pioja?
¿Quemar con un fósforo usual mi libro y su librea?
¿Juntarse el yatagán con mi dolor y su dolora?
¿Hacer aguar en temporal mi bote con su bota?
¿Batir en retirada mi conjuro y su conjura?
Vibrar la cuerda de mi solfeo
con su solfear.
Tú me preguntas cómo fue el acoso aquel que obtuve.
Pones el ojo a hojear en la estación de mi memoria.
Y bien: concedo que al final ganaron la batalla,
que falta conocer el resultado de la guerra.
Pero confieso que yo no extravié un grano de polen
puesto que de esa tierra no me podrán apartar.**
¿Pues cómo van a extenuar mi caso con su caza?
¿Adelgazar mi saco vecinal con su saqueo?
¿Uncir mi canto universal de grillo a su grillete?
¿Vaciar de contenido mi araucano y su araucaria?
¿Cavar con fúnebre placer mi tumbo con su tumba?
¿Frenar la turbulencia de mi gesta con su gesto?
¿El choque de mis esperantes con su espera dura?
El equipaje del destierro es mi maleta de humo,
pero sabemos que sin el fuego humo no habrá.***
Metes la lengua en mi cabeza, en mi pensar, en mi algo.
Y bien: te dejo suponer que abandoné mi pueblo,
que huí rompiendo el crudo umbral como un puma aterrado.
Pero yo te aseguro que no me han quitado nada
puesto que de esa tierra no me podrán apartar.
Pues, ¿cómo van a robar mi volcán con su volcana?*
¿Desviar de mi alma el embocar del río con su ría?
¿Hacharme en el paisaje el árbol con su arboladura?
¿Matarme a plena sien el rudo piojo con su pioja?
¿Quemar con un fósforo usual mi libro y su librea?
¿Juntarse el yatagán con mi dolor y su dolora?
¿Hacer aguar en temporal mi bote con su bota?
¿Batir en retirada mi conjuro y su conjura?
Vibrar la cuerda de mi solfeo
con su solfear.
Tú me preguntas cómo fue el acoso aquel que obtuve.
Pones el ojo a hojear en la estación de mi memoria.
Y bien: concedo que al final ganaron la batalla,
que falta conocer el resultado de la guerra.
Pero confieso que yo no extravié un grano de polen
puesto que de esa tierra no me podrán apartar.**
¿Pues cómo van a extenuar mi caso con su caza?
¿Adelgazar mi saco vecinal con su saqueo?
¿Uncir mi canto universal de grillo a su grillete?
¿Vaciar de contenido mi araucano y su araucaria?
¿Cavar con fúnebre placer mi tumbo con su tumba?
¿Frenar la turbulencia de mi gesta con su gesto?
¿El choque de mis esperantes con su espera dura?
El equipaje del destierro es mi maleta de humo,
pero sabemos que sin el fuego humo no habrá.***
En la versión de Inti-Illimani con el Coro de Niños Cantores de Viña del Mar, editada en el disco ”Andadas”, aparecen las siguientes modificaciones textuales:
* Pues, cómo van a robar mi volcán y su volcana
** puesto que de esta tierra no me podrán apartar
*** puesto que de esta tierra no me podrán apartar
* Pues, cómo van a robar mi volcán y su volcana
** puesto que de esta tierra no me podrán apartar
*** puesto que de esta tierra no me podrán apartar
Contributed by Maria Cristina Costantini - 2011/11/26 - 17:24
Language: Italian
Resa italiana (non ritmica) di Riccardo Venturi
29 novembre - 2 dicembre 2011
29 novembre - 2 dicembre 2011
Questa, per ora, la metto così com'è per ora senza note, spiegazioni e rendiconti. Si tratta ovviamente di una pagina "in fieri". Dico soltanto che questa cosa qui non l'avrei mai fatta senza La creatividad lingüística a través de la poesía de Patricio Manns di Natalia Castillo; un saggio che raccomando di leggere a chiunque si interessi all'argomento. Poi, ho dovuto metterci del mio, e non è stato semplice; "tradurre" Manns è, fondamentalmente, accettare la partita, sputarsi sulle manacce e darci dentro. In questo ho dovuto rispolverare certi miei trascorsi che si sono espletati ad esempio, sebbene in ben altro contesto, in una cosa come questa (curioso, però, che avessi immaginato quella cosa come una sorta di esilio, di destierro). Ne è venuta fuori questa cosa che, ripeto, avrà bisogno di mezza tonnellata di note esplicative (anche se qualcuno vorrà gettarsi nel testo originale). [RV]
IL BAGAGLIO DELL'ESILIATO
Come sia stato quel tormento che ho subito, me lo chiedi
e m'infili la lingua nella testa, nei pensieri, in qualche cosa.
Bene. Ti lascerò supporre che abbandonai il mio popolo, fuggii,
e che varcai alla rotta la crudele soglia come un puma atterrito.
Però ti garantisco che non mi han levato nulla
perché da questa terra non mi potranno separare.
Rubarmi, a me, il vulcano e la sua vulcanessa?
O deviarmi dall'anima la foce del rio e la sua ria?
Segarmi nel paesaggio l'albero e la sua alberatura?
Schiacciarmi il duro tarlo via dal capo, e la tarlessa?
Col solito cerino bruciarmi il libro e la sua livrea?
C'entra la loro spada col mio dolore e la sua dolenza?
Nella tempesta imbarcarmi acqua in stiva coi loro stivali?
O eliminare il mio scongiuro con la loro congiura?
Farmi vibrar le corde solfeggiate
solfàndomi di legnate.
Come sia stato quel tormento che ho subito, me lo chiedi
poi mi occhieggi con l'occhio nella stazione della memoria.
Bene. Ammetto che alla fine hanno vinto la battaglia
e che ancora non si sa il risultato della guerra.
Però confesso che non ho perso un grano di polline
perché da questa terra non mi potranno separare.
A me ed alla mia sorte scacciarmi con la loro caccia?
O saccheggiarmi quel che dai compagni ho nel sacco?
Incatenarmi il canto universale del grillo al loro grilletto?
Svuotare dal di dentro l'araucano e la sua araucaria?
Infilarmi le ossa con funebre mossa nella loro fossa?
Calmar la turbolenza delle mia gesta col loro gesto?
L'urto tra chi vive di speranza con la loro disperanza?
Il corredo dell'esilio è la mia valigia di fumo,
però che non c'è fuoco senza fumo, lo si sa.
Come sia stato quel tormento che ho subito, me lo chiedi
e m'infili la lingua nella testa, nei pensieri, in qualche cosa.
Bene. Ti lascerò supporre che abbandonai il mio popolo, fuggii,
e che varcai alla rotta la crudele soglia come un puma atterrito.
Però ti garantisco che non mi han levato nulla
perché da questa terra non mi potranno separare.
Rubarmi, a me, il vulcano e la sua vulcanessa?
O deviarmi dall'anima la foce del rio e la sua ria?
Segarmi nel paesaggio l'albero e la sua alberatura?
Schiacciarmi il duro tarlo via dal capo, e la tarlessa?
Col solito cerino bruciarmi il libro e la sua livrea?
C'entra la loro spada col mio dolore e la sua dolenza?
Nella tempesta imbarcarmi acqua in stiva coi loro stivali?
O eliminare il mio scongiuro con la loro congiura?
Farmi vibrar le corde solfeggiate
solfàndomi di legnate.
Come sia stato quel tormento che ho subito, me lo chiedi
poi mi occhieggi con l'occhio nella stazione della memoria.
Bene. Ammetto che alla fine hanno vinto la battaglia
e che ancora non si sa il risultato della guerra.
Però confesso che non ho perso un grano di polline
perché da questa terra non mi potranno separare.
A me ed alla mia sorte scacciarmi con la loro caccia?
O saccheggiarmi quel che dai compagni ho nel sacco?
Incatenarmi il canto universale del grillo al loro grilletto?
Svuotare dal di dentro l'araucano e la sua araucaria?
Infilarmi le ossa con funebre mossa nella loro fossa?
Calmar la turbolenza delle mia gesta col loro gesto?
L'urto tra chi vive di speranza con la loro disperanza?
Il corredo dell'esilio è la mia valigia di fumo,
però che non c'è fuoco senza fumo, lo si sa.
Language: Italian
Resa, o versione ritmica di Riccardo Venturi
30 novembre-5 dicembre 2011
30 novembre-5 dicembre 2011
La particolarità di questa "resa ritmica" è che andata di pari passo con la versione non ritmica; vale a dire, sono state condotte insieme provando e riprovando il ritmo col procedere dell'altra versione, modificando, sacrificando e condensando. Ne è venuta fuori questa cosa che, almeno in linea teorica, potrebbe essere cantata sulla musica originale in una specie di italiano che ricorre persino allo "svacantare" proveniente dall'assidua lettura del commissario Montalbano. [RV]
IL BAGAGLIO D'ESILIO
Come fu quel tormento che ho subito tu mi chiedi,
m'infili lingua in testa, nei pensieri, in qualche cosa.
Bene, supponi che il mio popolo lasciai varcando
la dura soglia come fossi un puma spaventato.
Però ti garantisco che non mi han levato nulla,
da questa terra io non sarò allontanato mai.
Rubare a me il vulcano assieme alla vulcanessa?
Deviarmi dentro la foce del rio e la sua ria?
Segarmi nel paesaggio l'albero e l'alberatura?
Schiacciarmi via dal capo il tarlo e la sua tarlessa?
Con un cerino ardermi il libro e la sua livrea?
La loro spada c'entra col dolore e la dolenza?
Allagarmi in tempesta la stiva con gli stivali?
Far fuori il mio scongiuro con quella loro congiura?
Le corde solfeggiandomi fino a vibrare
di legnate
Come fu quel tormento che ho subito tu mi chiedi,
mi occhieggi, gli occhi dentro la stazione del ricordo.
Bene, lo ammetto sí che l'hanno vinta la battaglia
però non si sa ancora il risultato della guerra
però di polline non ne ho perso manco un granello,
da questa terra io non sarò allontanato mai.
Cacciarmi via con la mia sorte dandomi la caccia?
O saccheggiare quel che dai compagni ho nel sacco?
Incatenare il grillo universale ad un grilletto?
O svacantar di senso l'araucano e l'araucaria?
Con gusto funebre infilarmi le ossa in una fossa?
Placar la turbolenza delle gesta con un gesto?
L'urto di chi ha speranza con la loro disperanza?
Il bagaglio d'esilio è la mia valigia di fumo
però che non c'è fuoco senza fumo, lo si sa.
Come fu quel tormento che ho subito tu mi chiedi,
m'infili lingua in testa, nei pensieri, in qualche cosa.
Bene, supponi che il mio popolo lasciai varcando
la dura soglia come fossi un puma spaventato.
Però ti garantisco che non mi han levato nulla,
da questa terra io non sarò allontanato mai.
Rubare a me il vulcano assieme alla vulcanessa?
Deviarmi dentro la foce del rio e la sua ria?
Segarmi nel paesaggio l'albero e l'alberatura?
Schiacciarmi via dal capo il tarlo e la sua tarlessa?
Con un cerino ardermi il libro e la sua livrea?
La loro spada c'entra col dolore e la dolenza?
Allagarmi in tempesta la stiva con gli stivali?
Far fuori il mio scongiuro con quella loro congiura?
Le corde solfeggiandomi fino a vibrare
di legnate
Come fu quel tormento che ho subito tu mi chiedi,
mi occhieggi, gli occhi dentro la stazione del ricordo.
Bene, lo ammetto sí che l'hanno vinta la battaglia
però non si sa ancora il risultato della guerra
però di polline non ne ho perso manco un granello,
da questa terra io non sarò allontanato mai.
Cacciarmi via con la mia sorte dandomi la caccia?
O saccheggiare quel che dai compagni ho nel sacco?
Incatenare il grillo universale ad un grilletto?
O svacantar di senso l'araucano e l'araucaria?
Con gusto funebre infilarmi le ossa in una fossa?
Placar la turbolenza delle gesta con un gesto?
L'urto di chi ha speranza con la loro disperanza?
Il bagaglio d'esilio è la mia valigia di fumo
però che non c'è fuoco senza fumo, lo si sa.
Language: English
English translation by Mike Gonzalez.
Traduzione inglese di Mike Gonzalez.
Traduzione inglese di Mike Gonzalez.
A pagina già chiusa, almeno per quel che mi riguardava, ho reperito questa traduzione in lingua inglese. Non proviene da un sito qualsiasi, ma da un documento .pdf accluso al sito ufficiale di Patricio Manns. E' però un tipo di approccio alla poesia di Manns radicalmente diverso da quello che ho tenuto io; qui si tratta veramente di una traduzione letterale, senza nessuna resa né dei cambi di genere (cosa del resto e francamente impossibile in inglese, lingua priva della categoria morfologica del genere grammaticale e poverissima di suffissi indicanti il femminile), né delle assonanze (a parte in qualche verso, ma per pura casualità). Nonostante il suo cognome ispanico, poi, mr Gonzalez sembra in un paio punti non aver capito molto bene quel che si dice nell'originale; ma non mi voglio spingere oltre e propongo la sua traduzione così com'è. [RV]
THE BAGGAGE OF EXILE
You ask me what it was like the persecution I was given
Your tongue enters my head, my thoughts, something in me.
Well: I let you assume that I had left my town
That I had led, breaking the crude gate like a frightened mountain lion
but I can assure you that they have nothing from me
since they can never separate me from that land.
Well: how could they steal my volcano with their vulcanite
Divert the river from my soul across their delta
Cut down my trees in the landscape from their mast
burn with an ordinary match my book and their brocade
Spread their scimitar across my pain with their platitudes
Make my boat leak in a storm under their boot
Make my curse withdraw before their conspiracy
Make the strings of their singing
vibrate with their sol-fa ?
You ask what was it like the persecution I was given
Well: I grant that in the end they won the battle
that we have yet to be told the outcome of the war
But I confess I did not lose a single drop of pollen
since they cannot separate me from that land.
How can they weaken my case with their chase
Pillage and reduce my neighborhood possessions
Yoke my universal song of a cricket to their chains
empty the content of my Araucanians, men and women,
Dig with sepulchral pleasure my trench in their tomb
Hold back my turbulent adventures with their gestures
or the clash of my longings with their false hopes.
The baggage of exile is my suitcase full of smoke
But we know there is no smoke without fire !
You ask me what it was like the persecution I was given
Your tongue enters my head, my thoughts, something in me.
Well: I let you assume that I had left my town
That I had led, breaking the crude gate like a frightened mountain lion
but I can assure you that they have nothing from me
since they can never separate me from that land.
Well: how could they steal my volcano with their vulcanite
Divert the river from my soul across their delta
Cut down my trees in the landscape from their mast
burn with an ordinary match my book and their brocade
Spread their scimitar across my pain with their platitudes
Make my boat leak in a storm under their boot
Make my curse withdraw before their conspiracy
Make the strings of their singing
vibrate with their sol-fa ?
You ask what was it like the persecution I was given
Well: I grant that in the end they won the battle
that we have yet to be told the outcome of the war
But I confess I did not lose a single drop of pollen
since they cannot separate me from that land.
How can they weaken my case with their chase
Pillage and reduce my neighborhood possessions
Yoke my universal song of a cricket to their chains
empty the content of my Araucanians, men and women,
Dig with sepulchral pleasure my trench in their tomb
Hold back my turbulent adventures with their gestures
or the clash of my longings with their false hopes.
The baggage of exile is my suitcase full of smoke
But we know there is no smoke without fire !
Contributed by Riccardo Venturi - 2012/11/16 - 00:49
GLI ACCORDI DELLA CANZONE
Song chords / Acuerdos de la canción
Song chords / Acuerdos de la canción
Transcrito por: Maikel B. ©
Título: El Equipaje del Destierro
Álbum(es): Andadas (1993)
Integrantes del Inti: Horacio Salinas, José Seves, Max Berrú, Horacio Durán, Jorge Coulón, Marcelo Coulón, Renato Freyggang.
Autor(es): Horacio Salinas - Patricio Manns
Instrumentos Usados: Guitarras, tiple, charango, bajo, arreglo orquestal: violines, violas, violoncello.
Voces: Coro Inti + Coro de niños
El Equipaje del Destierro
"La idea de la música en esta canción es que una vez repetida 2 veces.
La secuencia base (Dm-E7-Am), ir bajando un tono los acordes. Si se entiende la idea no parecerán tan raros los cambios."
Título: El Equipaje del Destierro
Álbum(es): Andadas (1993)
Integrantes del Inti: Horacio Salinas, José Seves, Max Berrú, Horacio Durán, Jorge Coulón, Marcelo Coulón, Renato Freyggang.
Autor(es): Horacio Salinas - Patricio Manns
Instrumentos Usados: Guitarras, tiple, charango, bajo, arreglo orquestal: violines, violas, violoncello.
Voces: Coro Inti + Coro de niños
El Equipaje del Destierro
"La idea de la música en esta canción es que una vez repetida 2 veces.
La secuencia base (Dm-E7-Am), ir bajando un tono los acordes. Si se entiende la idea no parecerán tan raros los cambios."
Dm
Tú me preguntas como fue el
E7 Am
Acoso aquel que obtuve
Dm
Metes la lengua en mi cabeza,
E7 Am
En mi pesar, en mi algo
Cm
Y bien te dejo suponer que
D7 Gm (Gm/F)
Abandoné mi pueblo
Cm
Que huí rompiendo el crudo
D7 Gm
Umbral como un puma aterrado
Bbm
Pero yo te aseguro que no me
C7 Fm
Han quitado nada
Bbm
Puesto que de esta tierra no me
G7 A7
Podrán apartar
Dm
Pues cómo van a robar mi
E7 Am
Volcán y su volcana
Dm
Desviar de mi alma el embocar
E7 Am
Del río con su ría
Cm
Hacharme en el paisaje el árbol
D7 Gm
Con su arboladura
Cm
Matarme en plena sien el rudo
D7 Gm
Piojo con su pioja
Bbm
Quemar con un fogón usual mi
C7 Fm
Libro y su librea
Bbm
Juntarse el yatagán con mi dolor
C7 Fm
y su dolora
Abm
Hacer agua en temporal mi
Bb7 Ebm
Bote con su bota
Abm
Batir en retirada mi conjuro y
Bb7 Ebm
Su conjura
Dm Dm6
Vibrar la cuerda de mi solfeo
B7
Con su solfear
Em
Tú me preguntas como fue el
F#7 Bm
Acoso aquel que obtuve
Em
Pones el ojo a ojear en la
F#7 Bm
Estación de mi memoria
Dm
Y bien concedo que al final
E7 Am
Ganaron la batalla
Dm
Que falta conocer el resultado
E7 Am
De la guerra
Cm
Pero confieso que yo no
D7 Gm
Extravié un grano de polen
Cm
Puesto que de esta tierra no me
A7 B7
Podrán apartar
Em
Pues como van a extenuar mi
F#7 Bm
Caso con su casa
Em
Adelgazar mi saco vecinal
F#7 Bm
Con su saqueo
Dm
Uncir mi canto universal de
E7 Am
Grillo a su grillete
Dm
Vaciar de contenido mi
E7 Am
Araucano y su araucaria
Cm
Cavar con fúnebre placer mi
D7 Gm
Tumbo con su tumba
Cm
Frenar la turbulencia de mi
D7 Gm
Gesta con su gesto
Bbm
El choque de mis esperantes
C7 Fm
Con su espera dura
Bbm
El equipaje del destierro es mi
C7 Fm
Maleta de humo
Em Em6
Puesto que de esta tierra no me
Em
Podrán apartar.
CCG/AWS Staff - 2011/12/3 - 13:27
LA CREATIVITA' LINGUISTICA ATTRAVERSO LA POESIA DI PATRICIO MANNS (Estratto)
di Natalia Castillo
Traduzione italiana di Riccardo Venturi
da: PERSONA Y SOCIEDAD / Universidad Alberto Hurtado
Vol. XX / Nº 2 / 2006 / 217-242
Con note del traduttore
di Natalia Castillo
Traduzione italiana di Riccardo Venturi
da: PERSONA Y SOCIEDAD / Universidad Alberto Hurtado
Vol. XX / Nº 2 / 2006 / 217-242
Con note del traduttore
Proponiamo qui la parte del fondamentale saggio di Natalia Castillo relativa all'analisi de El equipaje del destierro. Per la poesia/canzone, la traduzione italiana di riferimento (indicata sempre tra parentesi quadre) è quella non ritmica presente in questa pagina. Sono inserite alcune note e considerazioni del traduttore a proposito della sua resa del testo.(rv)
Patricio Manns elimina gli automatismi del linguaggio quotidiano e lo riempie di senso servendosi di vari procedimenti lessicali, semantici e morfosintattici. Rende funzionali dei fatti non funzionali del linguaggio comune. Senza dubbio, tale trasformazione vale soltanto all'interno del nuovo universo che si è venuto a creare, ovvero del contesto proposto dal mondo testuale.
3.1 El equipaje del destierro
Tú me preguntas cómo fue el acoso aquel que obtuve,
metes la lengua en mi cabeza, en mi pesar, en mi algo.
Y bien, te dejo suponer que abandoné mi pueblo,
que huí, rompiendo el crudo umbral como un puma aterrado.
Pero yo te aseguro que no me han quitado nada,
puesto que de esa tierra no me podrán apartar.
Pues cómo van a robar mi volcán y su volcana,
desviar de mi alma el embocar del río con su ría,
hacharme en el paisaje el árbol con su arboladura,
matarme a plena sien el rudo piojo con su pioja,
quemar con un fósforo usual mi libro y su librea
juntarse el yatagán con mi dolor y su dolora,
hacer aguar en temporal mi bote con su bota,
batir en retirada mi conjuro y su conjura,
vibrar la cuerda de mi solfeo con su solfear.
Tú me preguntas cómo fue el acoso aquel que obtuve,
pones el ojo a ojear en la estación de mi memoria.
Y bien, concedo que al final ganaron la batalla,
que falta conocer el resultado de la guerra.
Pero confieso que yo no extravié un grano de polen
puesto que de esa tierra no me podrán apartar.
Pues cómo van a extenuar mi caso con su caza,
adelgazar mi saco vecinal con su saqueo,
uncir mi canto universal de grillo a su grillete,
vaciar de contenido mi araucano y su araucaria,
cavar con fúnebre placer mi tumbo con su tumba,
frenar la turbulencia de mi gesta con su gesto,
el choque de mis esperantes con su espera dura.
El equipaje del destierro es mi maleta de humo.
Pero sabemos que sin el fuego, humo no habrá.
metes la lengua en mi cabeza, en mi pesar, en mi algo.
Y bien, te dejo suponer que abandoné mi pueblo,
que huí, rompiendo el crudo umbral como un puma aterrado.
Pero yo te aseguro que no me han quitado nada,
puesto que de esa tierra no me podrán apartar.
Pues cómo van a robar mi volcán y su volcana,
desviar de mi alma el embocar del río con su ría,
hacharme en el paisaje el árbol con su arboladura,
matarme a plena sien el rudo piojo con su pioja,
quemar con un fósforo usual mi libro y su librea
juntarse el yatagán con mi dolor y su dolora,
hacer aguar en temporal mi bote con su bota,
batir en retirada mi conjuro y su conjura,
vibrar la cuerda de mi solfeo con su solfear.
Tú me preguntas cómo fue el acoso aquel que obtuve,
pones el ojo a ojear en la estación de mi memoria.
Y bien, concedo que al final ganaron la batalla,
que falta conocer el resultado de la guerra.
Pero confieso que yo no extravié un grano de polen
puesto que de esa tierra no me podrán apartar.
Pues cómo van a extenuar mi caso con su caza,
adelgazar mi saco vecinal con su saqueo,
uncir mi canto universal de grillo a su grillete,
vaciar de contenido mi araucano y su araucaria,
cavar con fúnebre placer mi tumbo con su tumba,
frenar la turbulencia de mi gesta con su gesto,
el choque de mis esperantes con su espera dura.
El equipaje del destierro es mi maleta de humo.
Pero sabemos que sin el fuego, humo no habrá.
In questo testo sono presenti moltissimi fenonemi degni di analisi. Ad esempio, nella frase Tú me preguntas cómo fue el acoso aquel que obtuve [“Come sia stato quel tormento che ho subito, me lo chiedi”] , l'uso del pronome tú, che non si identifica con un referente esplicito, comporta una ellissi intenzionale. L'ordine dei monemi mette in risalto quel tormento già conosciuto da chi ascolta. Senz'altro, la chiave per l'interpretazione dell'intero testo risulta dai seguenti periodi:
Pero yo te aseguro que no me han quitado nada
puesto que de esa tierra no me podrán apartar
[Però ti garantisco che non mi han levato nulla
perché da questa terra non mi potranno separare.]
puesto que de esa tierra no me podrán apartar
[Però ti garantisco che non mi han levato nulla
perché da questa terra non mi potranno separare.]
Sebbene l'ascoltatore possa immaginare che il poeta sia sfuggito alla persecuzione e abbia accettato l'esilio, la presenza del maschile e del femminile suggerisce, mediante un doppio procedimento semiotico, l'unione indistruttibile tra chi parla e il paese dal quale egli è stato esiliato. Tale unione rimane indissolubile pur in presenza delle diverse aggressioni compiute da un agente semantico celato grammaticalmente sotto forma di soggetto indeterminato (no me han quitado nada [...]). Di conseguenza, si vede come la questione essenziale di questa poesia sia quella del genere. Un altra questione importante è quella del sincretismo, che nel testo si manifesta fondamentalmente a livello dei possessivi e delle preposizioni 1. Per Levin (1974), la struttura fondamentale del linguaggio poetico (intendendo con questo il linguaggio della poesia come genere letterario) è l'accoppiamento (o similitudine) consistente in un rapporto di ripetizione intercorrente in modo formale o semantico tra due segni equivalenti. In questa poesia vengono create coppie di termini uniti dal rapporto maschile/femminile, apparentemente su una medesima base lessicale. 2 Per facilitare un'adeguata interpretazione, trascriviamo via via il testo nel suo contesto immediato:
Pues cómo van a robar mi volcán y su volcana
[Rubarmi, a me, il vulcano e la sua vulcanessa?]
[Rubarmi, a me, il vulcano e la sua vulcanessa?]
La prima opposizione che compare è tra il sostantivo maschile volcán [vulcano] e il correlativo femminile volcana [“vulcanessa”]. In questo caso, l'autore ricorre a una possibilità presente nella lingua spagnola, vale a dire il cambio di genere di un sostantivo maschile mediante uno specifico morfema femminile. Tale opposizione non si giustifica a livello descrittivo o logico se si prende come punto di riferimento il mondo reale, ma ha piena giustificazione a livello interno del testo per personificare un oggetto inanimato. Secondo Bally, tale fenomeno consiste nell'infondere vita a oggetti inanimati (cfr. Desrosiers 1978:133). Risulta importante -come si vedrà nel prosieguo dell'analisi- anche il contenuto del possessivo su, il cui significato interno potrebbe essere “la vulcanessa del vulcano”. 3
Desviar de mi alma el embocar del río con su ría.
[O deviarmi dall'anima la foce del rio con la sua ria]
[O deviarmi dall'anima la foce del rio con la sua ria]
Qui, invece, il poeta stabilisce una coppia che ha apparentemente la medesima base lessicale, ma senza creare neologismi bensì limitandosi a utilizzare termini propri della lingua spagnola fornendo loro un nuovo senso mediante la combinazione dell'asse sintagmatico. L'opposizione río/ría riproduce esattamente tale senso di coppia. Ricordiamo che, in base al DRAE 4 (2001), la ría è il “luogo dove confluiscono le acque dolci con quelle salate, dove un fiume si mescola al mare”. La foce del río con la sua ría assume quindi un carattere di unione invisibile e indissolubile tra il río, attivo e maschile, e la ría femminile, che lo accoglie. Il possessivo dà al tutto il senso di “ría del río”. 5
Hacharme en el paisaje el árbol con su arboladura
[Segarmi nel paesaggio l'albero e la sua alberatura]
[Segarmi nel paesaggio l'albero e la sua alberatura]
L'opposizione albero/alberatura si basa qui sull'uso del morfema derivativo [- adura] con valore collettivo che reca implicita una connotazione femminile. L'esilio non è possibile, la solitudine non fa male perché è irreale. Il suffisso [-adura] implica molteplicità, compagnia, dialogo, stare con gli altri. L'albero non è solo, è assieme alla sua alberatura. 6
Matarme a plena sien el rudo piojo con su pioja.
[Schiacciarmi il duro tarlo via dal capo e la tarlessa]
[Schiacciarmi il duro tarlo via dal capo e la tarlessa]
L'opposizione piojo/pioja, sebbene non permessa dal sistema (il DRAE [2001] non contempla l'esistenza del femminile pioja), lo è invece dal punto di vista della norma e della logica extralinguistica. Il piojo [pidocchio], in quanto appartenente al regno animale, presuppone nel parlante un essere sessuato. Siamo di nuovo in presenza di un morfema femminile: è la coppia naturale piojo/pioja. 7
Quemar con un fósforo usual mi libro y su librea.
[Col solito cerino bruciarmi il libro e la sua livrea]
[Col solito cerino bruciarmi il libro e la sua livrea]
Il cambio semantico non è segnato qui da morfemi grammaticali, bensì dalla diversa natura dei lessemi. L'illusione che entrambi i termini siano uniti e formino una coppia a causa della loro base è valida esclusivamente nel contesto che si è venuto a creare. Senz'altro, la coppia femminile/maschile resta però valida a causa della complementazione tra il libro, che simboleggia il contenuto, e la librea [qui: “copertina”], che incarna la forma. Il libro è unito alla sua copertina. 8
Juntarse el yatagán con mi dolor y su dolora.
[Che c'entra la loro spada col mio dolore e la sua dolenza?]
[Che c'entra la loro spada col mio dolore e la sua dolenza?]
A prima vista sembrerebbe lo stesso caso di volcán/volcana; non è così. I due termini corrispondono etimologicamente a lessemi differenti, e il loro rapporto è quindi più simile a quello tra libro e librea. Il dolor forma una coppia con la dolora [canto o composizione poetica funebre]; il sentimento sta quindi assieme con la sua espressione. Il dolore si manifesta per mezzo della dolora, vale a dire una forma di espressione del dolore. Nonostante tutte le variazioni espresse nei versi precedenti, è possibile estrarre una struttura sintattica comune e rappresentativa della coppia, dell'equilibrio e della pace: A e il suo A'. In determinate circostanze, l'aggiunta non è rappresentata dalla congiunzione copulativa y, bensì dalla preposizione con, che indica simultaneità, accompagnamento, addizione. La forma diviene quindi “A col suo A'”, ove “col suo A'” rappresenta un complemento nominale subordinato a A. In ogni caso, il possessivo indica “A' di A”. Tale configurazione si interrompe però nei versi successivi. 9
Hacer aguar en temporal mi bote con su bota.
[Nella tempesta imbarcarmi acqua in stiva coi loro stivali]
[Nella tempesta imbarcarmi acqua in stiva coi loro stivali]
Qui, la rottura con la struttura precedente è totale. La somiglianza coi versi precedenti è soltanto apparente, ed è data dai rapporti generati all'interno del testo. Nonostante ciò che segue non sia in diretta relazione con il problema che abbiamo scelto per l'analisi di questo testo, non possiamo fare a meno di sottolineare la maestria del poeta nel rendere tale rottura mediante il suo esatto antonimo, juntarse. Appare evidente che tale apparente unione con lo yatagán [tipo di spada] altro non rappresenta che tale intento di rottura, da parte dell'aggressore, dell'equilibrio tra la forma ed il fondamento espresso dal poeta, un equilibrio la cui espressione più chiara è l'atto in conseguenza dell'idea. Bote [barca, scialuppa] e bota [stivale] sono lessemi che non hanno nulla in comune 10 a parte una certa somiglianza; senz'altro, però, si ha una momentanea finzione nella quale tutto sembra continuare come prima (vale a dire con il maschile accoppiato al femminile) 11. Ad una rilettura risulta chiaro che qui non si ha un accoppiamento, bensì una sorta di imbastitura. Il bote è ora la “barca”, la “scialuppa di salvataggio” di chi parla, però la bota non è “lo stivale della barca”, bensì lo stivale dell'agente distruttore che si nasconde dietro alla forma grammaticale del soggetto indeterminato. Ugualmente, la frase preposizionale con su bota non costituisce più un complemento subordinato del sostantivo che lo precede, ma un complemento circostanziale di strumento che determina l'infinito, nucleo del sottoperiodo sostantivo. 12
Batir en retirada mi conjuro y su conjura.
[O eliminare il mio scongiuro con la loro congiura]
[O eliminare il mio scongiuro con la loro congiura]
Conjuro [scongiuro] e conjura [congiura] hanno una comune origine etimologica, ma senz'altro, attualmente, hanno significati separati e molto diversi. Così, mentre il primo ha riflessi magici alludendo a un'invocazione o preghiera rivolta al soprannaturale, il secondo assume una valenza negativa in quanto implica un complotto contro lo stato o un'autorità. Il conjuro qui si scontra con la conjura. La congiunzione copulativa qui, in realtà, non unisce ma mette in opposizione lo “scongiuro” del poeta” con la “congiura” dell'aggressore; il possessivo, quindi, non indica qui “la congiura dello scongiuro”, bensì la “congiura di qualcun altro”. 13
Vibrar la cuerda de mi solfeo
con su solfear.
[Farmi vibrar le corde solfeggiate
solfàndomi di legnate]
con su solfear.
[Farmi vibrar le corde solfeggiate
solfàndomi di legnate]
In questo caso, si tratta dell'aggiunta di un suffisso a una base lessicale comune. Il solfeo [solfeggio] è il canto personale del poeta, il suo ritmo individuale, la sua voce. Essendo un sostantivo astratto si riferisce all'essenza del parlate, è il suo tono, il suo carattere. Solfear [solfeggiare; pestare, dare botte], invece, corrisponde ad un'azione concreta, sebbene generica. Solfear si impone e spezza le libertà personali. 14
Pues cómo van a extenuar mi caso con su caza.
[ A me ed alla mia sorte scacciarmi con la loro caccia?]
[ A me ed alla mia sorte scacciarmi con la loro caccia?]
Nello spagnolo latinoamericano, la distinzione /s/ - /z/ è neutralizzata. Poiché la canzone è stata composta da un cileno (e composta per essere ascoltata, non letta), la differenziazione grafematica del termini caso [caso, sorte] e caza [caccia] viene a mancare, ed il gioco di parole si mantiene mediante l'opposizione tra
/’kaso/ e /’kasa/. Per quanto terribile sia l'assedio da parte del nemico, la questione espressa dal parlante non può esaurirsi. 15
Adelgazar mi saco vecinal con su saqueo.
[O saccheggiarmi quel che dai compagni ho nel sacco?]
[O saccheggiarmi quel che dai compagni ho nel sacco?]
Mentre il saco vecinal 16 allude alla solidarietà, al fatto di essere compagni e alla condivisione, il saqueo [saccheggio] è spoliazione, rapina, accaparramento. 17
Uncir mi canto universal de grillo a su grillete.
[Incatenarmi il canto universale del grillo al loro grilletto?]
[Incatenarmi il canto universale del grillo al loro grilletto?]
Qui il poeta si serve dell'omonimia tra grillo [grillo, l'insetto] e grillo [anello della catena, legaccio] e forma un derivato a partire da quest'ultimo. E' interessante che, mentre il canto del grillo parla di allegria e vitalità, il grillo dal quale deriva grillete serra e annulla qualsiasi potenzialità. 18
Vaciar de contenido mi araucano y su araucaria.
[Svuotare dal di dentro l'araucano e la sua araucaria?]
[Svuotare dal di dentro l'araucano e la sua araucaria?]
Tale coppia risulta interessane in quanto sfugge ai tipi di rapporto dei versi precedenti. In primo luogo, emerge ancora l'indissolubile rapporto tra il poeta e la sua terra, espresso nella prima parte della poesia con le coppie maschili/femminili. In secondo luogo, la relazione tra araucano [araucano; cileno] e araucaria [araucaria, l'albero] è ancora più forte, sia a livello grammaticale che descrittivo. Da un lato, i due termini hanno una medesima base lessicale, Arauco 19; dall'altro, Diego Catalán [1958] afferma che in base all'uso dei suffissi derivativi propri della Spagna meridionale, delle Canarie e dell'America Latina, tali due termini indicano appartenenza esclusiva ad una detta regione del Cile. Inoltre, la relazione tra araucano e araucaria è strettissima nella realtà extralinguistica, dato che la pigna proveniente da tale albero è una delle principali fonti alimentari del gruppo etnico dei Mapuches. 20
Cavar con fúnebre placer mi tumbo con su tumba.
[Infilarmi le ossa con funebre mossa nella loro fossa]
[Infilarmi le ossa con funebre mossa nella loro fossa]
Si riprende qui la consueta struttura dell'aggressione. Tumbo [mossa brusca; scossa, capitombolo] e tumba [tomba] non sono una coppia, bensì opposti in antagonismo tra loro. Mentre il primo allude alla vita, al movimento, all'azione, il secondo significa sepolcro, morte. 21.
Frenar la turbulencia de mi gesta con su gesto.
[Calmar la turbolenza delle mie gesta col loro gesto?]
[Calmar la turbolenza delle mie gesta col loro gesto?]
Gesta 22 rimanda al complesso dei fatti memorabili, generalmente eroici, che un dato personaggio ha compiuto nella sua vita. E' la continua lotta dell'uomo per vincere se stesso e raggiungere i propri ideali; comporta impegno, costanza e coraggio. Il gesto è invece un atto superficiale e momentaneo, soltanto forma e atteggiamento. La struttura sintttica comune rappresenta qui l'attacco nemico; la configurazione originale “A e il suo A' “ è sostituita da “A e il suo B”: la A del parlante e la B dell'aggressore. L'aggiunta è soltanto apparente: la preposizione con non indica qui compagna, ma strumento. La forma è quindi “A per mezzo di B”, ove B è un complemento di strumento subordinato non a A, ma al verboide nucleo del sottoperiodo infinitivo corrispondente. In ogni caso, qui il possesivo corrisponde all'aggressore B; il fatto che la struttura dell'equilibrio e quella dell'aggressione siano apparentemente tanto simili suggerisce che l'attacco nasce da qualcosa di inatteso, che il pericolo sta in agguato celato e nascondendo il proprio volto. Sebbene Desrosiers, come molti altri autri, affermi che “Nell'insieme dei testi non creativi, le varie ripetizioni risultano da un pensiero organizzato debolmente o sono indice di povertà lessicale” (1978:114), in questa poesia le ripetizioni generano giochi di parole. 23
El choque de mis esperantes con su espera dura.
[L'urto tra chi vive di speranza e la loro disperanza?]
[L'urto tra chi vive di speranza e la loro disperanza?]
Esperante [che spera; speranzoso] è il participio presente di esperar [sperare; attendere]; gli esperantes sono coloro che sperano, che hanno fiducia, che credono pieni di speranza. La espera dura [dura attesa; angoscia, ansia] attenta contro la fede; la fede combatte lo scetticismo. 24
Riccardo Venturi - 2012/11/14 - 16:48
NOTE DEL TRADUTTORE
[1] A tale riguardo, si ricorda che un'esplicita ammissione di sincretismo (e "sconvolgimento") delle preposizioni fu operata dal poeta, scrittore e giornalista argentino Juan Rodolfo Wilcock relativamente alla sua prima produzione poetica "borgesiana" in castigliano (come è noto, Wilcock scrisse poi esclusivamente in italiano). Devo dichiarare immediatamente che, come sempre, il "mio" Wilcock mi ha illuminato alla candela in questo particolare viaggio, anzi, in questo particolare esilio.
[2] Un esempio applicativo a livello popolare si ha nei cosiddetti "Falsi derivati" proposti come gioco enigmistico nelle riviste specializzate (ad esempio dalla "Settimana Enigmistica").
[3] Ed è stata, a partire da qui, proprio la lettura del saggio a farmi decidere di "saltare il fosso" e accettare il gioco proposto da Patricio Manns: lo sfruttamento libero delle possibilità morfosintattiche offerte dall'italiano in modo quasi identico allo spagnolo (immagino che una "traduzione" di questa poesia sarebbe parecchio più difficoltosa in lingue che non presentano la categoria del genere grammaticale, come ad esempio l'ungherese o il turco). Nell'italiano ho preferito creare un "vulcanessa" (invece di "vulcana") per una certa assonanza con le fiabe popolari (orco/orchessa, gigante/gigantessa); forse, tenendo presente le osservazioni della Castillo, mi sarei potuto spingere a una coppia "vulcano / vulcagna".
[4] Abbreviazione di Diccionario de la Real Academia Española, l'opera autoritativa in campo lessicografico per la lingua spagnola.
[5] Nella traduzione ho avuto poca scelta per cercare di mantenere l'opposizione originale: rio (dal latino rivus) è parola esistente anche in italiano, sebbene indichi generalmente un corso d'acqua di piccole dimensioni. Però sono intese comunemente le denominazioni di grandi fiumi come il "Rio delle Amazzoni" o il "Rio Grande". Quanto alla "ria" (che ho scritto senza accento grafico), la conosceranno soprattutto gli appassionati di cruciverba come "fiordo spagnolo"; ma indica generalmente una "foce a estuario". E' termine sufficientemente caratterizzato localmente per lasciarlo così com'è.
[6] E' stato possibile mantenere qui l'opposizione albero/alberatura ricorrendo a un'analoga derivazione italiana, anche se in italiano il tutto assume una decisa connotazione "marinaresca" che comunque non credo stoni nel complesso.
[7] In origine, la traduzione "non ritmica" (sulla quale poi si è basato il tentativo di traduzione ritmica) cercava comunque di non "violentare" troppo il particolare ritmo dell'originale; si poneva quindi il problema del "pidocchio" (piojo), parola troppo lunga per non sballare eccessivamente il verso. E' stato risolto con un altro insetto infestante, il tarlo, che nel particolare contesto del "capo" (la testa) dà probabilmente alla traduzione il deciso senso di "rovello, dubbio" presente nell'italiano e del tutto assente dallo spagnolo. Ma, anche qui, se questo è un gioco che dev'essere accettato e nel quale il "traduttore" non agisca da "traditore" bensì da riscrittore che si riserva (e deve riservarsi) un certo grado di autonomia, la cosa aggiunge forse una connotazione possibile. L'esiliato, in quanto tale, è necessariamente privo di dubbi e di tormenti nella sua condizione? Scelto quindi il "tarlo", si pone il problema della coppia in opposizione; e qui bisogna ribadire che la formazione di femminili "non previsti" dal sistema linguistico canonico è un fatto comunissimo nella lingua parlata (fino a non molto tempo fa lo era, e in un certo grado lo è ancora, per occupazioni, mestieri e cariche che normalmente non erano riservati alle donne; si pensi soltanto a "sindaco" e ai dubbi che tuttora esistono al riguardo, "sindaco donna", "sindaca", "sindachessa"?). La scelta che ho operato per il femminile di "tarlo" è del tutto personale, anche se ho presente la connotazione peggiorativa o spregiativa che [-essa] può avere in italiano per un essere animato, anche un tarlo. Mi "suonava" però meglio di "*tarla".
[8] Qui le cose hanno cominciato a farsi veramente ardue. In italiano, il termine "livrea" si usa (come in spagnolo) per indicare la divisa di lavoro di un servitore domestico, e ha una connotazione temporale molto decisa (dove si vedono ancora servitori in livrea, a parte nei film ambientati presso certa nobiltà britannica?); altre connotazioni sono rare e molto specializzate (ad esempio le "livree" di un mezzo meccanico adibito a usi speciali, militari ecc.); tra di esse, però, può esistere anche quella del rivestimento di un libro, particolarmente artistico (la "livrea" di un volume disegnata da un celebre artista, per intendersi). Ho dovuto quindi ricorrere qui ad un'estrema specializzazione, forse non immediatamente coglibile. Prezzi da pagare. Da notare comunque che, sia in spagnolo che in italiano il termine per "livrea" ha sì un'assonanza con "libro" (più facile, anche dal punto di vista grafico, in spagnolo), ma è di origine totalmente differente (dal francese livrée, propriamente participio passato femminile singolare sostantivato del verbo livrer nel senso di "cosa fornita alla servitù"; livrer a sua volta dal latino liberare, etimologicamente non connesso con liber "libro"). Ma, in italiano, "accoppiare" libro e copertina non sarebbe stato possibile altrimenti senza oscurare totalmente il senso: caso tipico per gli oggetti inanimati non in relazione sessuata, ma di contenuto/forma (o meglio, di interiorità/esteriorità).
[9] Per dare una parvenza di accoppiamento qui, il procedimento dell'originale ha dovuto essere abbandonato sia come forma di derivazione, sia semanticamente. La dolora è una forma di canto o composizione poetica funebre (la si potrebbe rendere come "lamento" o "lamentazione" sulla morte di qualcuno) tipica dei paesi di lingua spagnola; e qui non sono eccessivamente d'accordo con l'osservazione della Castillo sui "lessemi differenti"; in quanto a derivazione, anzi, dolora è effettivamente il femminile di dolor, formato con il medesimo procedimento, ad esempio, di coppie "proprie" come profesor/profesora. I due termini sono, in spagnolo, legati intimamente. Ferma restando l'esattezza delle restanti osservazioni della Castillo, rimane comunque il problema di come rendere in italiano una coppia che, in spagnolo, suona del tutto naturale sulla base di una tradizione letteraria e formale inesistente in italiano (i vari "lamenti" della letteratura italiana, a partire da Jacopone da Todi, non sono comunque assimilabili alle doloras). Si impone quindi di prendere un'altra strada: quella della derivazione di diversa natura, preservando comunque il genere femminile (dolore/dolenza) e ricorrendo a un termine comunque correlato etimologicamente e che può ricordare la connotazione originale (se un'analoga composizione poetica esistesse in italiano, mettiamola così, la denominazione di "dolenza" potrebbe essere appropriata. Riconosco che, nella scelta del termine, ha giocato un ruolo una canzone degli Inti-Illimani, Dolencias (da Canto de pueblos andinos: Duélete de mis dolencias / Si algún día me has querido...). Ovvero: si ricorre a tutto, "pur di".
[10] Bote è la resa spagnola del termine germanico comune per "barca" (inglese boat, tedesco e olandese Boot, svedese båt...); probabilmente è penetrato in spagnolo dall'olandese, lingua che ha fornito storicamente molti termini marinareschi alle lingue europee (enorme la sua influenza settoriale sul russo, ad esempio). Bota è invece un gallicismo (francese botte, a sua volta pseudoderivazione evocativa femminile dell'antico francese bot "rospo". termine di etimologia controversa - forse germanica).
[11] Questo sarebbe un tipico esempio di "falso derivato" intenso come gioco enigmistico. Se venissi a sapere che Patricio Manns è un appassionato di tali giochi, non me ne stupirei affatto; è una passione condivisa da tutti i creatori linguistici (a vari livelli e intenti).
[12] Anche questo verso ha posto particolari problemi nella traduzione, che è stata alla fine strutturata con degli autentici spostamenti. La "barca" di bote, per essere preservata, è stata "trasferita" nell'imbarcarmi con il quale è stato reso l'originale hacer aguar. Questo ha "liberato" l'uso (arbitrario, certo) di "stiva" (ma imbarcare acqua in stiva o in una barca ha la stessa valenza di atto aggressivo: l'affondamento) che è andato a far coppia assonata e pseudoderivata con "stivali". Ho preferito qui il plurale al singolare: in italiano lo "stivale" per antonomasia è l'Italia, mentre l'antonomasia per la violenza militare sono gli "stivali" al plurale ("rumor di stivali" eccetera).
[13] Qui non vi sono stati eccessivi problemi in italiano, data la quasi perfetta riproduzione della coppia spagnola. Dico "quasi perfetta", perché l'italiano "scongiuro" (da *ex-con-iuru-) presenta l' "accidente" della s- iniziale non presente nello spagnolo conjuro. Si tratta di un accidente abbastanza veniale, però, che non pregiudica molto l'opposizione assonanzata. Un problema è stato invece batir en retirada. In italiano esiste un'analoga espressione ("battere in ritirata"), e nelle due lingue essa può essere usata sia transitivamente che intransitivamente; ma, dal punto di vista ritmico, la sillaba in più dell'italiano "battere" rispetto allo spagnolo "batir" avrebbe sballato tutto.
[14] Qui non c'è una vera e propria "coppia", ma un autentico gioco di parole tra "solfeo" [solfeggio] e "solfear" [solfeggiare, ma anche, popolarescamente, "prendere a botte", "tirare legnate", "pestare"]. Non è possibile non vedere in questi versi un riferimento al massacro di Víctor Jara. Per la traduzione, mi sono servito di un termine popolare toscano, "solfare" / "zolfare" (o "inzolfare") (di botte, di legnate), anche se tale termine, a differenza dello spagnolo, non ha nulla a che vedere con il solfeggio, ma con lo zolfo (deriva dall'operazione di ramatura delle viti col mantice, ove il "ramato" è stato sostituito con lo "zolfo"). "Peu importe", se una parvenza d'assonanza è stata potuta mantenere.
[15] In italiano, "caso" non ha la stessa estensione dell'omologo spagnolo; da qui la necessità di ricorrere ad un altro spostamento per mantenere in un certo qual modo l'assonanza (spesso, nella traduzione non si è potuto andare oltre questo). Quindi, l'opposizione [caso / caza] viene dislocata sull'assonanza [scacciarmi / caccia], che ovviamente è di natura totalmente diversa; a caso viene assegnato invece il suo significato esteso, "sorte, destino, fato".
[16] La consuetudine del saco vecinal è un'antica forma di solidarietà nelle campagne cilene e latinoamericane: le famiglie povere venivano sostentate dal vicinato (quasi sempre povero anch'esso; era quindi una forma di vero e proprio mutuo soccorso tra poveri). All'esterno dell'abitazione si lasciava un sacco vuoto dove il vicinato metteva generi di prima necessità e qualunque cosa potesse servire alla famiglia.
[17] Un altro verso che ha posto parecchi problemi, tenendo anche conto che la seconda parte della canzone è ancor più difficile della prima. La difficoltà principale è posta ovviamente dal saco vecinal, una consuetudine locale che non ha un corrispondente in italiano; scartate a priori sia le perifrasi sia le traduzioni letterali (il "sacco vicinale" non avrebbe alcun senso), ho optato per l'ennesimo spostamento trasferendo saqueo su adelgazar [assottigliare] per mantenere l'assonanza, e insistendo sul concetto di solidarietà con "quel che dai compagni ho nel sacco".
[18] Il problema, qui, è stato posto dal doppio senso, in spagnolo, di grillo [grillo/insetto; anello della catena]; problema risolto con l'ennesimo spostamento su uncir [aggiogare]. Ferma restando l'assonanza, anche in italiano, tra "grillo" (l'insetto) e "grilletto", si è trattato di trasferire l'altro significato di grillo sul verbo; "incatenare" può coprirlo agevolmente. In questo caso, addirittuea, la traduzione può essere più "completa" dell'originale.
[19] La cittadina di Arauco è importantissima nella storia del Cile; appartenente alla regione abitata dai Mapuches, nel 1552 Pedro de Valdivia vi fondò la prima piazzaforte coloniale durante la guerra con gli indigeni (che non furono fondamentalmente mai piegati, soprattutto sotto il loro celebre capo militare Láutaro). "Arauco" stesso è un nome mapuche, dal significato di "acqua argillosa". La prima denominazione della regione colonizzata fu quindi Araucanía, termine ancora usatissimo; araucano indica non soltanto l'abitante di quella regione, ma è sinonimo per "cileno" tout court (si vedano usi italiani come "felsineo" per "bolognese" o "partenopeo" per "napoletano").
[20] Quasi impossibile, in una poesia del genere, che non vi fosse un riferimento all' "araucano" e all'araucaria. Di "araucano" si parla nella nota precedente; l'araucaria, nome evidentemente derivato e diffuso internazionalmente, è la araucaria araucana (anche la terminologia scientifica, qui, è basata sull'unione indissolubile tra la pianta e il suo habitat originale), della famiglia delle araucariacee. E' uno dei simboli del Cile, anche se si è adattata a volte in altre zone (mi ricordo di averne visti degli esemplari coi miei occhi nel giardino imperiale dell'isoletta di Lokrum, o Lacroma, di fronte alla città dalmata di Dubrovnik; ne erano presenti esemplari anche nel vicino Arboretum di Trsteno, prima che fosse semidistrutto dalle guerre jugoslave). Qui il poeta compie uno dei suoi principali atti di accusa verso gli aggressori militari, che "svuotano dal di dentro" (o "di contenuto") sia il Cile (espresso mediante il suo albero-simbolo) che i suoi abitanti (gli araucani).
[21] Forse il verso più difficile da rendere adeguatamente di tutta la poesia. Qualcosa ha dovuto essere sacrificata (il "gusto", il "piacere", ripristinato però nella traduzione ritmica); la qualifica di "funebre" è passata direttamente al tumbo, reso con "mossa" per stabilire almeno un'assonanza con la "fossa" con cui è stata resa tumba. Arbitrariamente, però, ho esteso l'assonanza con le "ossa". Un'altra possibile soluzione, sempre basata su un'assonanza ma più problematica, sarebbe potuta essere "con gusto funebre capitombolarmi nella tomba".
[22] Si noti che l'italiano ha mantenuto il plurale neutro latino, corrispondente a un femminile plurale ("le gesta"), mentre lo spagnolo ha generalizzato il femminile singolare ("la gesta"), come in italiano è avvenuto per altri plurali neutri latini ("la frutta", "la legna").
[23] Uno dei rari versi della poesia che non abbiano comportato particolari problemi.
[24] In questo ultimo verso delle "coppie", la difficoltà maggior è stata data da una resa accettabile di espera dura (da notare che parecchi testi della canzone presenti in rete riportano, erratamente, esperadura; un controsenso, dato che significa "speranza" e quindi si verrebbe a creare un'assurda similitudine, non certo un'opposizione). A prescindere dalla dicotomia del termine esperar in spagnolo, sia "sperare" che "attendere, aspettare", per quanto riguarda gli astratti c'è una scissione. Per "speranza" si usano, come italiano, derivati con suffissi (esperanza, esperadura), per "attesa" il deverbale diretto (espera). Che cosa si deve intendere per "dura attesa"? L'attesa di qualcosa di duro, difficile, vale a dire l'esatto contrario della speranza. Ho preso qui a prestito il bel termine "disperanza" dalla terminologia di Ivan Della Mea (è anche il titolo di una sua canzone interpretata dai Mau Mau.
[1] A tale riguardo, si ricorda che un'esplicita ammissione di sincretismo (e "sconvolgimento") delle preposizioni fu operata dal poeta, scrittore e giornalista argentino Juan Rodolfo Wilcock relativamente alla sua prima produzione poetica "borgesiana" in castigliano (come è noto, Wilcock scrisse poi esclusivamente in italiano). Devo dichiarare immediatamente che, come sempre, il "mio" Wilcock mi ha illuminato alla candela in questo particolare viaggio, anzi, in questo particolare esilio.
[2] Un esempio applicativo a livello popolare si ha nei cosiddetti "Falsi derivati" proposti come gioco enigmistico nelle riviste specializzate (ad esempio dalla "Settimana Enigmistica").
[3] Ed è stata, a partire da qui, proprio la lettura del saggio a farmi decidere di "saltare il fosso" e accettare il gioco proposto da Patricio Manns: lo sfruttamento libero delle possibilità morfosintattiche offerte dall'italiano in modo quasi identico allo spagnolo (immagino che una "traduzione" di questa poesia sarebbe parecchio più difficoltosa in lingue che non presentano la categoria del genere grammaticale, come ad esempio l'ungherese o il turco). Nell'italiano ho preferito creare un "vulcanessa" (invece di "vulcana") per una certa assonanza con le fiabe popolari (orco/orchessa, gigante/gigantessa); forse, tenendo presente le osservazioni della Castillo, mi sarei potuto spingere a una coppia "vulcano / vulcagna".
[4] Abbreviazione di Diccionario de la Real Academia Española, l'opera autoritativa in campo lessicografico per la lingua spagnola.
[5] Nella traduzione ho avuto poca scelta per cercare di mantenere l'opposizione originale: rio (dal latino rivus) è parola esistente anche in italiano, sebbene indichi generalmente un corso d'acqua di piccole dimensioni. Però sono intese comunemente le denominazioni di grandi fiumi come il "Rio delle Amazzoni" o il "Rio Grande". Quanto alla "ria" (che ho scritto senza accento grafico), la conosceranno soprattutto gli appassionati di cruciverba come "fiordo spagnolo"; ma indica generalmente una "foce a estuario". E' termine sufficientemente caratterizzato localmente per lasciarlo così com'è.
[6] E' stato possibile mantenere qui l'opposizione albero/alberatura ricorrendo a un'analoga derivazione italiana, anche se in italiano il tutto assume una decisa connotazione "marinaresca" che comunque non credo stoni nel complesso.
[7] In origine, la traduzione "non ritmica" (sulla quale poi si è basato il tentativo di traduzione ritmica) cercava comunque di non "violentare" troppo il particolare ritmo dell'originale; si poneva quindi il problema del "pidocchio" (piojo), parola troppo lunga per non sballare eccessivamente il verso. E' stato risolto con un altro insetto infestante, il tarlo, che nel particolare contesto del "capo" (la testa) dà probabilmente alla traduzione il deciso senso di "rovello, dubbio" presente nell'italiano e del tutto assente dallo spagnolo. Ma, anche qui, se questo è un gioco che dev'essere accettato e nel quale il "traduttore" non agisca da "traditore" bensì da riscrittore che si riserva (e deve riservarsi) un certo grado di autonomia, la cosa aggiunge forse una connotazione possibile. L'esiliato, in quanto tale, è necessariamente privo di dubbi e di tormenti nella sua condizione? Scelto quindi il "tarlo", si pone il problema della coppia in opposizione; e qui bisogna ribadire che la formazione di femminili "non previsti" dal sistema linguistico canonico è un fatto comunissimo nella lingua parlata (fino a non molto tempo fa lo era, e in un certo grado lo è ancora, per occupazioni, mestieri e cariche che normalmente non erano riservati alle donne; si pensi soltanto a "sindaco" e ai dubbi che tuttora esistono al riguardo, "sindaco donna", "sindaca", "sindachessa"?). La scelta che ho operato per il femminile di "tarlo" è del tutto personale, anche se ho presente la connotazione peggiorativa o spregiativa che [-essa] può avere in italiano per un essere animato, anche un tarlo. Mi "suonava" però meglio di "*tarla".
[8] Qui le cose hanno cominciato a farsi veramente ardue. In italiano, il termine "livrea" si usa (come in spagnolo) per indicare la divisa di lavoro di un servitore domestico, e ha una connotazione temporale molto decisa (dove si vedono ancora servitori in livrea, a parte nei film ambientati presso certa nobiltà britannica?); altre connotazioni sono rare e molto specializzate (ad esempio le "livree" di un mezzo meccanico adibito a usi speciali, militari ecc.); tra di esse, però, può esistere anche quella del rivestimento di un libro, particolarmente artistico (la "livrea" di un volume disegnata da un celebre artista, per intendersi). Ho dovuto quindi ricorrere qui ad un'estrema specializzazione, forse non immediatamente coglibile. Prezzi da pagare. Da notare comunque che, sia in spagnolo che in italiano il termine per "livrea" ha sì un'assonanza con "libro" (più facile, anche dal punto di vista grafico, in spagnolo), ma è di origine totalmente differente (dal francese livrée, propriamente participio passato femminile singolare sostantivato del verbo livrer nel senso di "cosa fornita alla servitù"; livrer a sua volta dal latino liberare, etimologicamente non connesso con liber "libro"). Ma, in italiano, "accoppiare" libro e copertina non sarebbe stato possibile altrimenti senza oscurare totalmente il senso: caso tipico per gli oggetti inanimati non in relazione sessuata, ma di contenuto/forma (o meglio, di interiorità/esteriorità).
[9] Per dare una parvenza di accoppiamento qui, il procedimento dell'originale ha dovuto essere abbandonato sia come forma di derivazione, sia semanticamente. La dolora è una forma di canto o composizione poetica funebre (la si potrebbe rendere come "lamento" o "lamentazione" sulla morte di qualcuno) tipica dei paesi di lingua spagnola; e qui non sono eccessivamente d'accordo con l'osservazione della Castillo sui "lessemi differenti"; in quanto a derivazione, anzi, dolora è effettivamente il femminile di dolor, formato con il medesimo procedimento, ad esempio, di coppie "proprie" come profesor/profesora. I due termini sono, in spagnolo, legati intimamente. Ferma restando l'esattezza delle restanti osservazioni della Castillo, rimane comunque il problema di come rendere in italiano una coppia che, in spagnolo, suona del tutto naturale sulla base di una tradizione letteraria e formale inesistente in italiano (i vari "lamenti" della letteratura italiana, a partire da Jacopone da Todi, non sono comunque assimilabili alle doloras). Si impone quindi di prendere un'altra strada: quella della derivazione di diversa natura, preservando comunque il genere femminile (dolore/dolenza) e ricorrendo a un termine comunque correlato etimologicamente e che può ricordare la connotazione originale (se un'analoga composizione poetica esistesse in italiano, mettiamola così, la denominazione di "dolenza" potrebbe essere appropriata. Riconosco che, nella scelta del termine, ha giocato un ruolo una canzone degli Inti-Illimani, Dolencias (da Canto de pueblos andinos: Duélete de mis dolencias / Si algún día me has querido...). Ovvero: si ricorre a tutto, "pur di".
[10] Bote è la resa spagnola del termine germanico comune per "barca" (inglese boat, tedesco e olandese Boot, svedese båt...); probabilmente è penetrato in spagnolo dall'olandese, lingua che ha fornito storicamente molti termini marinareschi alle lingue europee (enorme la sua influenza settoriale sul russo, ad esempio). Bota è invece un gallicismo (francese botte, a sua volta pseudoderivazione evocativa femminile dell'antico francese bot "rospo". termine di etimologia controversa - forse germanica).
[11] Questo sarebbe un tipico esempio di "falso derivato" intenso come gioco enigmistico. Se venissi a sapere che Patricio Manns è un appassionato di tali giochi, non me ne stupirei affatto; è una passione condivisa da tutti i creatori linguistici (a vari livelli e intenti).
[12] Anche questo verso ha posto particolari problemi nella traduzione, che è stata alla fine strutturata con degli autentici spostamenti. La "barca" di bote, per essere preservata, è stata "trasferita" nell'imbarcarmi con il quale è stato reso l'originale hacer aguar. Questo ha "liberato" l'uso (arbitrario, certo) di "stiva" (ma imbarcare acqua in stiva o in una barca ha la stessa valenza di atto aggressivo: l'affondamento) che è andato a far coppia assonata e pseudoderivata con "stivali". Ho preferito qui il plurale al singolare: in italiano lo "stivale" per antonomasia è l'Italia, mentre l'antonomasia per la violenza militare sono gli "stivali" al plurale ("rumor di stivali" eccetera).
[13] Qui non vi sono stati eccessivi problemi in italiano, data la quasi perfetta riproduzione della coppia spagnola. Dico "quasi perfetta", perché l'italiano "scongiuro" (da *ex-con-iuru-) presenta l' "accidente" della s- iniziale non presente nello spagnolo conjuro. Si tratta di un accidente abbastanza veniale, però, che non pregiudica molto l'opposizione assonanzata. Un problema è stato invece batir en retirada. In italiano esiste un'analoga espressione ("battere in ritirata"), e nelle due lingue essa può essere usata sia transitivamente che intransitivamente; ma, dal punto di vista ritmico, la sillaba in più dell'italiano "battere" rispetto allo spagnolo "batir" avrebbe sballato tutto.
[14] Qui non c'è una vera e propria "coppia", ma un autentico gioco di parole tra "solfeo" [solfeggio] e "solfear" [solfeggiare, ma anche, popolarescamente, "prendere a botte", "tirare legnate", "pestare"]. Non è possibile non vedere in questi versi un riferimento al massacro di Víctor Jara. Per la traduzione, mi sono servito di un termine popolare toscano, "solfare" / "zolfare" (o "inzolfare") (di botte, di legnate), anche se tale termine, a differenza dello spagnolo, non ha nulla a che vedere con il solfeggio, ma con lo zolfo (deriva dall'operazione di ramatura delle viti col mantice, ove il "ramato" è stato sostituito con lo "zolfo"). "Peu importe", se una parvenza d'assonanza è stata potuta mantenere.
[15] In italiano, "caso" non ha la stessa estensione dell'omologo spagnolo; da qui la necessità di ricorrere ad un altro spostamento per mantenere in un certo qual modo l'assonanza (spesso, nella traduzione non si è potuto andare oltre questo). Quindi, l'opposizione [caso / caza] viene dislocata sull'assonanza [scacciarmi / caccia], che ovviamente è di natura totalmente diversa; a caso viene assegnato invece il suo significato esteso, "sorte, destino, fato".
[16] La consuetudine del saco vecinal è un'antica forma di solidarietà nelle campagne cilene e latinoamericane: le famiglie povere venivano sostentate dal vicinato (quasi sempre povero anch'esso; era quindi una forma di vero e proprio mutuo soccorso tra poveri). All'esterno dell'abitazione si lasciava un sacco vuoto dove il vicinato metteva generi di prima necessità e qualunque cosa potesse servire alla famiglia.
[17] Un altro verso che ha posto parecchi problemi, tenendo anche conto che la seconda parte della canzone è ancor più difficile della prima. La difficoltà principale è posta ovviamente dal saco vecinal, una consuetudine locale che non ha un corrispondente in italiano; scartate a priori sia le perifrasi sia le traduzioni letterali (il "sacco vicinale" non avrebbe alcun senso), ho optato per l'ennesimo spostamento trasferendo saqueo su adelgazar [assottigliare] per mantenere l'assonanza, e insistendo sul concetto di solidarietà con "quel che dai compagni ho nel sacco".
[18] Il problema, qui, è stato posto dal doppio senso, in spagnolo, di grillo [grillo/insetto; anello della catena]; problema risolto con l'ennesimo spostamento su uncir [aggiogare]. Ferma restando l'assonanza, anche in italiano, tra "grillo" (l'insetto) e "grilletto", si è trattato di trasferire l'altro significato di grillo sul verbo; "incatenare" può coprirlo agevolmente. In questo caso, addirittuea, la traduzione può essere più "completa" dell'originale.
[19] La cittadina di Arauco è importantissima nella storia del Cile; appartenente alla regione abitata dai Mapuches, nel 1552 Pedro de Valdivia vi fondò la prima piazzaforte coloniale durante la guerra con gli indigeni (che non furono fondamentalmente mai piegati, soprattutto sotto il loro celebre capo militare Láutaro). "Arauco" stesso è un nome mapuche, dal significato di "acqua argillosa". La prima denominazione della regione colonizzata fu quindi Araucanía, termine ancora usatissimo; araucano indica non soltanto l'abitante di quella regione, ma è sinonimo per "cileno" tout court (si vedano usi italiani come "felsineo" per "bolognese" o "partenopeo" per "napoletano").
[20] Quasi impossibile, in una poesia del genere, che non vi fosse un riferimento all' "araucano" e all'araucaria. Di "araucano" si parla nella nota precedente; l'araucaria, nome evidentemente derivato e diffuso internazionalmente, è la araucaria araucana (anche la terminologia scientifica, qui, è basata sull'unione indissolubile tra la pianta e il suo habitat originale), della famiglia delle araucariacee. E' uno dei simboli del Cile, anche se si è adattata a volte in altre zone (mi ricordo di averne visti degli esemplari coi miei occhi nel giardino imperiale dell'isoletta di Lokrum, o Lacroma, di fronte alla città dalmata di Dubrovnik; ne erano presenti esemplari anche nel vicino Arboretum di Trsteno, prima che fosse semidistrutto dalle guerre jugoslave). Qui il poeta compie uno dei suoi principali atti di accusa verso gli aggressori militari, che "svuotano dal di dentro" (o "di contenuto") sia il Cile (espresso mediante il suo albero-simbolo) che i suoi abitanti (gli araucani).
[21] Forse il verso più difficile da rendere adeguatamente di tutta la poesia. Qualcosa ha dovuto essere sacrificata (il "gusto", il "piacere", ripristinato però nella traduzione ritmica); la qualifica di "funebre" è passata direttamente al tumbo, reso con "mossa" per stabilire almeno un'assonanza con la "fossa" con cui è stata resa tumba. Arbitrariamente, però, ho esteso l'assonanza con le "ossa". Un'altra possibile soluzione, sempre basata su un'assonanza ma più problematica, sarebbe potuta essere "con gusto funebre capitombolarmi nella tomba".
[22] Si noti che l'italiano ha mantenuto il plurale neutro latino, corrispondente a un femminile plurale ("le gesta"), mentre lo spagnolo ha generalizzato il femminile singolare ("la gesta"), come in italiano è avvenuto per altri plurali neutri latini ("la frutta", "la legna").
[23] Uno dei rari versi della poesia che non abbiano comportato particolari problemi.
[24] In questo ultimo verso delle "coppie", la difficoltà maggior è stata data da una resa accettabile di espera dura (da notare che parecchi testi della canzone presenti in rete riportano, erratamente, esperadura; un controsenso, dato che significa "speranza" e quindi si verrebbe a creare un'assurda similitudine, non certo un'opposizione). A prescindere dalla dicotomia del termine esperar in spagnolo, sia "sperare" che "attendere, aspettare", per quanto riguarda gli astratti c'è una scissione. Per "speranza" si usano, come italiano, derivati con suffissi (esperanza, esperadura), per "attesa" il deverbale diretto (espera). Che cosa si deve intendere per "dura attesa"? L'attesa di qualcosa di duro, difficile, vale a dire l'esatto contrario della speranza. Ho preso qui a prestito il bel termine "disperanza" dalla terminologia di Ivan Della Mea (è anche il titolo di una sua canzone interpretata dai Mau Mau.
Riccardo Venturi - 2012/11/14 - 17:21
Una pagina rimasta incompleta per quasi un anno viene in questo momento portata a termine; è non è, senz'altro, una pagina qualsiasi. Contiene una delle pricipali vertigini testuali di questo sito e, probabilmente, dell'intera storia della canzone latinoamericana e mondiale. Per questo motivo, la pagina non poteva dirsi completa fino alla traduzione (preannunciata e dilazionata a lungo) del saggio analitico di Natalia Castillo ad essa dedicato, e delle mie note di traduzione. In generale non sono avvezzo ad inserirne di così particolareggiate (lo avevo fatto, prima, soltanto per un altro testo impervio: quello di Supper's Ready), anche perché troppe giustificazioni da parte del traduttore sono sovente indice di presuntuosa affettazione; ma per un testo del genere è necessario dare conto di quel che si è fatto, e di come lo si è fatto. Mentre procedevo, mi veniva costantemente da pensare alla vera differenza de El equipaje del destierro rispetto ad altri componimenti poetici a base di alchimie verbali. In Patricio Manns, tali alchimie non sono mai fini a se stesse. Questa è realmente una poesia/canzone che parla di esilio, scritta da una persona che lo sta vivendo in quel preciso momento e che sceglie di esprimere ciò che sente (il suo legame indissolubile con la sua terra, l'opposizione all'aggressore e la sua messa a nudo, ed anche un certo numero di riferimenti a fatti avvenuti) mediante sì un procedimento di scrittura creativa assai particolare e di non facile lettura, ma mai sconfinante nella visionarietà e nella contemplazione della propria abilità o della propria ostentata follia. Manns è, al contrario, di una lucidità e di una concretezza estreme; le vertigini lessicali e morfosintattiche del suo testo non oscurano mai la visione d'insieme e ne aumentano anzi l'efficacia catalizzando l'attenzione di chi legge e analizza il testo ponendosi di fronte ad esso in modo esplorativo. Ovviamente, in casi del genere delle traduzioni (o riscritture) sono soltanto degli indici di gioco accettato, tenendo sempre conto del fatto che il "gioco" è qui derivato da un'esperienza umanamente devastante come può essere l'esilio, vissuta in prima persona dal poeta partito con la sua "valigia di fumo". Con questo, termino questa pagina augurandomi che, a partire da questo momento, essa viaggi da sola; non senza aver fatto, però, uno speciale saluto a Maria Cristina Costantini, che ha proposto inizialmente questa canzone davvero unica innestando nel sottoscritto il desiderio di controntarvisi quanto più profondamente, e pigramente, possibile.
Riccardo Venturi - 2012/11/16 - 00:11
Nel 1990 all'Estadio Nacional de Chile gli Inti illimani, assieme al Coro de los Niños Cantores de Viña del Mar, hanno eseguito una versione da brividi di questa canzone al Concerto per Amnesty International. Wynton Marsalis che era presente, si avvivinò ad Horacio Salinas pochi attimi prima che salisse sul palco, chiedendogli l'armonia del pezzo perché aveva sentito le prove e avrebbe tanto desiderato accompagnarli con la sua tromba. Ciò che successe dal vivo lo si può vedere qui:
Flavio Poltronieri - 2015/12/27 - 15:24
Da brividi. Bisognerà ricordare che il concerto allo Estadio Nacional del 1990 venne tenuto poco tempo dopo che Pinochet era caduto con il referendum, e che per parecchi quel concerto rappresentava proprio il ritorno da un esilio durato diciassette anni. Nello stadio dove erano state rinchiuse migliaia di persone dopo il golpe e dove era stato ammazzato Víctor Jara, e che ora si chiama proprio "Estadio Nacional Víctor Jara". Non avevo mai sentito questa versione con Wynton Marsalis (e con Peter Gabriel), l'ho fatto in rigoroso silenzio.
Riccardo Venturi - 2015/12/27 - 19:01
C'erano pure altri, peccato che la qualità della registrazione è a dir poco pessima...
Krzysiek - 2015/12/27 - 19:55
A inizio pagina si descrive "Andadas" degli Inti-Illimani, sottolineando esserci contenuti due brani esplicitamente legati all'Italia: Cinque terre e Canna austina. Deduco quindi pochi sappiano che ce n'è un terzo con un legame particolare al nostro Paese. Si tratta del brano iniziale del disco, lo strumentale "Angelo".
La vicenda fu questa: Branduardi cercò gli Inti Illimani nell'ultimo periodo in cui vivevano ancora qui, proponendo una collaborazione per una composizione che aveva un'ossessiva misura di 7/4, cifra ritmica poco comune in una canzone. Loro la trovarono molto interessante e iniziarono a lavorarci con entusiasmo inventando alcune melodie contrappuntistiche che proposero all'autore. Branduardi si rese però perfettamente conto che il brano recava il marchio indelebile del gruppo cileno e non qualche semplice tocco di colore e che la situazione gli stava sfuggendo di mano. A questo punto ci tenne a precisare che la paternità della canzone era sua e il progetto di collaborazione andò in fumo.
Ebbene, le melodie che avevano pensato in quella occasione divennero l'intreccio che compone "Angelo".
Flavio Poltronieri
La vicenda fu questa: Branduardi cercò gli Inti Illimani nell'ultimo periodo in cui vivevano ancora qui, proponendo una collaborazione per una composizione che aveva un'ossessiva misura di 7/4, cifra ritmica poco comune in una canzone. Loro la trovarono molto interessante e iniziarono a lavorarci con entusiasmo inventando alcune melodie contrappuntistiche che proposero all'autore. Branduardi si rese però perfettamente conto che il brano recava il marchio indelebile del gruppo cileno e non qualche semplice tocco di colore e che la situazione gli stava sfuggendo di mano. A questo punto ci tenne a precisare che la paternità della canzone era sua e il progetto di collaborazione andò in fumo.
Ebbene, le melodie che avevano pensato in quella occasione divennero l'intreccio che compone "Angelo".
Flavio Poltronieri
Flavio Poltronieri - 2019/8/25 - 18:55
×
Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
Testo di Patricio Manns
Musica di Horacio Salinas e Patricio Manns
Letra de Patricio Manns
Música de Horacio Salinas y Patricio Manns
Lyrics by Patricio Manns
Music by Horacio Salinas and Patricio Manns
Album:
1. Con la razón y la fuerza [1982]
"Con la razón y la fuerza fue un álbum de los músicos chilenos Patricio Manns e Inti-Illimani, grabado en Roma, Italia, y lanzado en 1982 por el sello madrileño Movieplay, actualmente Fonomusic, mientras se encontraban exiliados en Europa producto del Régimen Militar de su país. En 1992, el álbum es reeditado por el sello chileno Alerce, la otra música bajo el nombre La araucana, sin la segunda canción «El pacto roto», y atribuyendo su autoría exclusivamente a Patricio Manns." - es:wikipedia
"Con la razón y la fuerza (1982) è il primo disco -il cui nome è mutuato dal titolo del film del 1971 del regista Rossellini su Salvador Allende, con il titolo Fuerza y Razón- realizzato dal cantautore cileno Patricio Manns insieme al gruppo cileno degli Inti-Illimani. Gli Inti-Illimani partecipano alla stesura di alcuni dei brani, contribuiscono agli arrangiamenti del disco ed eseguono gran parte delle parti strumentali e dei cori. Questo disco inizialmente viene pubblicato con il titolo Con la razón y la fuerza e l'attribuzione a "Patricio Manns + Inti-Illimani", nel 1992 verrà ripubblicato con il titolo modificato in La araucana ed attribuito al solo Manns. Questo disco non è mai stato pubblicato o distribuito in Italia." - it:wikipedia
2. Andadas (Inti Illimani, 1993)
"Andadas es el vigésimo quinto álbum de estudio de la banda chilena Inti-Illimani, publicado originalmente en 1993 y grabado en Santiago durante el mes de agosto del año anterior. Es además el primer álbum de la banda en aparecer en un ranking internacional de Billboard. El álbum está fuertemente influenciado por la música tradicional sudamericana (en particular la chilena, peruana y boliviana), así como por la música española, la afro-cubana y la mexicana. En la carátula del álbum se incluyen traducciones al inglés de las canciones escritas en castellano" - es:wikipedia
"Andadas (1993) è il primo disco in studio realizzato dal gruppo cileno Inti-Illimani dopo la fine dell'esilio e il rientro in patria. Il disco si muove su coordinate analoghe ai lavori precedenti (brani tradizionali, composizioni dei componenti del gruppo, la collaborazione con Patricio Manns). Sorprende l'interpretazione di un brano della musicista peruviana Chabuca Granda primo segnale di quel rinnovato interesse del gruppo per autori e musiche latinoamericane più popolari e di successo che proseguirà nei dischi successivi fino a culminare con l'intero progetto Amar de nuevo. Vanno anche sottolineati i due brani esplicitamente legati all'Italia: Cinque terre e Canna austina. In Italia esce inizialmente come una autoproduzione dell'etichetta Inti-Illimani, in un secondo tempo il disco verrà rieditato dalla CGD." - it:wikipedia
El equipaje del destierro è una canzone cui Horacio Salinas ha dato una struttura musicale molto semplice; ogni due versi, la sequenza-base di tre accordi viene abbassata e poi rialzata di un tono. Semplice, e al tempo stesso di enorme impatto ideale; almeno per quel che mi riguarda, ho avuto da un lato l'impressione di un Don Chisciotte che se ne va cavalcando e, dall'altro, quello di un motivo felliniano. Su questo impianto musicale, il testo di Patricio Manns. E qui, naturalmente, è necessario cambiare registro. In una canzone come questa vi è la componente musicale “esterna”, quella che accompagna le parole con degli strumenti; e vi è quella “interna”, immanente al testo stesso e che con l'altra musica si fonde assegnando alle parole compiti di esplicazione e evocazione.
E' del tutto naturale che un esiliato parli dell'esilio; gli autori di questa canzone erano, nel 1980, tutti esuli. Horacio Salinas in Italia, assieme agli Inti-Illimani; Patricio Manns a giro per il mondo. La letteratura dell'esilio è, a mio parere, fondante e molteplice per la coscienza umana, e la sua molteplicità ne riproduce le cause. Il colpo di stato militare dell'11 settembre 1973 in Cile provocò una massa di esuli molti dei quali appartenevano alla componente intellettuale del paese, che aveva preso massicciamente parte, con entusiasmo, all'esperimento del governo di Unidad Popular; logico che verso tale componente si fosse diretta una spietata repressione. In particolare, la musica e la canzone ebbero a pagare prezzi altissimi, in termini di vite (si pensi soltanto a Víctor Jara), di incarceramenti e di esili. A differenza degli Inti Illimani (che si trovavano in tournée in Europa e, segnatamente, in Italia; come è noto, la notizia del golpe li sorprese mentre si trovavano in visita alla Cappella Sistina), Patricio Manns era in Cile e venne arrestato. Fu poi grazie alla solidarietà internazionale che gli fu permesso di lasciare il paese; un esilio che durò diciassette anni, fino al 1990 (si veda Vuelvo; ma si ristabilì definitivamente in Cile soltanto nel 2000). Sette anni dopo l'inizio del suo esilio scrisse questa canzone fondamentale. Dico “fondamentale” perché esprime un concetto fondamentale: nessun esule può essere mai separato veramente dal suo paese, e ogni tentativo violento e repressivo serve anzi a rafforzare i legami che l'esule ha con la sua terra. Come la sua musica, la base ideale di questa canzone è semplice e lineare, ed anche perfettamente comprensibile: lo sradicamento fisico imposto da una contingenza autoritaria non tocca, e non può toccare, la cultura e le radici di una persona (que en las raíces libertad nos una, così termina l' “oscura” Palimpsesto). A questo punto, però, “entra in scena” la scrittura di Patricio Manns e la sua creatività linguistica; ne risulta questa canzone, che ci parla del bagaglio dell'esiliato. L'esiliato parte spesso senza nessun bagaglio, con una valigia di fumo; ma è proprio questo fumo, da intendersi come inoggettualità non quantificabile, non ponderabile e non monetizzabile, che costituisce il vero bagaglio, quello che veramente è importante e che non può essere né strappato, né esiliato.
Il procedimento mediante il quale Manns esprime questo concetto basilare è, come sempre, unico dal punto di vista linguistico. Alla creatività linguistica viene affidato il compito di fissare indelebilmente il concetto, in un modo ancor più efficace della piana esposizione dei fatti e delle idee (seppure, non di rado, espressa in forma poetica mirabile). Per il suo equipaje del destierro Manns, invece, prende un'altra strada: sfruttando al massimo le possibilità della propria lingua, tesse sul suo telaio una serie di domande in cui le identità profonde della propria cultura e il contrasto tra chi è aggredito e chi aggredisce sono espresse da “coppie lessicali” assonanzate, da variazioni apparenti del genere grammaticale, da similitudini fonetiche. L'artificio si spinge alla voluta ambiguità, connaturata alla lingua castigliana, dell'aggettivo possessivo su, che (come del resto nell'italiano parlato comune) significa sia “suo,-a” che “loro”. Per ogni coppia è necessario individuare se si tratti di un'unione o di una separazione, tant'è che in alcune versioni della canzone alcuni “su” sono sostituiti dalla congiunzione copulativa “y”.
Tutto questo è espresso perfettamente in un importante saggio di Natalia Castillo (laureata in filologia ispanica presso l'Università di Valladolid, docente di lessicografia ispanica presso la Real Academia Española di Madrid e membro accademico della Pontificia Università Cattolica del Cile) intitolato La creatividad lingüística a través de la poesía de Patricio Manns, che contiene una consistente parte dedicata proprio all'analisi linguistica di El equipaje del destierro; una parte talmente importante (anche per stabilire una possibile resa in una lingua diversa) da richiedere la sua traduzione integrale, presentata in questa pagina.
Dei problemi, chiaramente enormi, relativi alla “traduzione” parlerò specificamente nella relativa sezione e nelle note; sono state in realtà approntate due rese, una più aderente al testo e un'altra con intenti ritmici. El equipaje del destierro è divenuta un vero e proprio simbolo in Cile, quasi una sorta di "inno" di tutta una generazione; ne sono state approntate le versioni più svariate, compreso un homenaje sinfonico eseguito dall'Orchestra Sinfonica del Cile. Comuni le versioni (compresa quella degli Inti Illimani) in cui è presente un coro di voci bianche; continuo però a preferire la versione "nuda" cantata da Patricio Manns. E' una canzone che ha tutte le caratteristiche dell'universalità. [RV]