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A me ciam Bert

Bobo Rondelli
Lingua: Italiano (Emiliano Modenese)


Bobo Rondelli

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Bobo Rondelli, A me ciam Bert


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Poesia di Bobo Rondelli, accompagnata da musica varia
A poem by Bobo Rondelli, to be accompanied by various music
Da / From "Compagni di Sangue"
Filmata da Paolo Virzì in "L'uomo che aveva picchiato la testa"




Averci una sera a casa Alessio Lega è, di per sé, una cosa bastevolmente straordinaria; specie se la sera in questione è la vigilia del venticinque aprile. Quando poi l'Alessio Lega in questione ti fa scoprire un testo come questo, alla vigilia del venticinque aprile, si vede che almeno un pochino, forse, estremamente forse, Iddio c'è; o, perlomeno, c'è qualcosa che sfugge all'immediata comprensione razionale. Da prendersi così com'è.

Bobo Rondelli, come si sa, è l'emblema della livornesità (almeno in momentanea assenza di Piero Ciampi; ma tornerà). Però ha una parte di origini emiliane (modenesi di montagna), e ha scritto questa poesia che recita con un accento emiliano assolutamente perfetto, da madrelingua (e con delle frasi in dialetto). Parla di Berto Rondelli, "Bert Rundell", lo zio di suo padre; della sua vita e della sua morte durante un rastrellamento nazifascista in quelle terre che furono martoriate. Altro non saprei, e non vorrei dire; qualcosa che lascia storditi per la sua bellezza.

Poiché in questo venticinque aprile di fascisti che imperversano credo che ci sia bisogno di parole dure, e anche di bestemmie chiare, il testo di Bobo Rondelli assume, tra le altre cose, una funzione di autentica catarsi, di purificazione dalle scorie di un'epoca che, a dire il vero, è tutta un'immensa scoria. Grazie a Alessio Lega che ce lo ha mediato, e che ci onoriamo di includere qui come contributore dopo averci già dato tanto con le sue canzoni. [CCG/AWS Staff]

Dietro Bobo mi nascondo, ma mi porto dentro Berto, zio di mio padre, fratello di mio nonno, del quale porto il nome che io, secondogenito, ho avuto per tradizione. Emiliano contadino, scapolo mezzo scemo del villaggio, uomo mite e buono, sgonfiatore di damigiane, sempre in mezzo a risse e puttane, ma una era la sua morosa preferita, la Caterina, una donna tonda e ubriacona che lui dal paese, gonfio di vino, caricava sulle spalle per portarla nella stalla, e quando nel tragitto lei gli diceva “Berto ho da pisciare!” lui neanche si fermava e così le rispondeva “Piscia pure, basta che non caghi”. E così con questa precisazione lei gli lasciava sulla giacca il suo odore e il suo calore come un vino, che dal consumatore ritorna al produttore, come una gatta a segnare il suo territorio animale. Mio nonno Giuseppe, suo fratello, era tornato dall’America, dove era andato a far fortuna dieci anni giù in miniera (per morire un anno dopo il suo ritorno, di silicosi come premio) per comprare un po’ di terra ed un mulino e non aver bisogno di nessuno, specie della tessera del fascio per dover mangiare, perché il mulino da mangiar ne dava. L’Emilia nell’Appennino è terra dura, in salita, piena di sassi e forgiava uomini rozzi e grossi, e poi con la guerra fu ancora più dura perché lì passava la cosiddetta Linea gotica. I tedeschi in ritirata come bestie impazzite rastrellavano e ammazzavano famiglie intere, tra cui parte della mia. E così toccò anche a Berto, che col mitra puntato obbligarono a caricar sacchi e roba sui loro mezzi, lui mentre caricava con la rabbia, forse nascondendo la paura, così mugugnava e bestemmiava…: “Dio porc di un Dio boia! Catvengn un cànker in bocca, boia d’un Dio lader…” Non finì il calvario, prima lo fucilarono.

E così lo voglio ricordare come uno che bestemmiava, perché la vita era troppo ingiusta e dura e che forse quel giorno s’era alzato pure male e non aveva voglia di arrivare a sera. Quasi indifferente persino agli assassini, così, magari a non voler dar loro soddisfazione, chissà, a volerli ringraziare di liberarlo da una vita di letame e mosche e zappar nel sole, contro un Dio a cui neanche credeva ma che l’aveva messo lì. E se Dio c’è, certo lo perdona, e magari chiede pure scusa. E così dietro Bobo mi nascondo, ma dentro porto Berto. E quando mi dicono di stare coi più forti e i loro culi dover leccare, e sedermi alle loro cerimonie di vuote parole, io vedo facce che bramano potere, vedo le stesse, quelle che dan l’ordine di sparare.

E allora sento in me una voce che dice “a me ciam Bert! Bert Rundell” e comincio a bestemmiare! “Dio porc di un Dio boia! Catvengn un cànker in bocca, boia d’un Dio lader…!!!”

inviata da CCG/AWS Staff e Alessio Lega - 24/4/2011 - 23:59




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