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Malaunità

Eddy Napoli
Language: Neapolitan


Eddy Napoli

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(Los Trovadores de Cuyo)


“Questa canzone vuole essere una controcelebrazione dei cosiddetti festeggiamenti per l'unità d'Italia - ha spiegato il cantante -. L'undici maggio di 150 anni fa è iniziata la morte del sud, e non solo metaforicamente; quello che i libri di storia scritti dai vincitori non raccontano è il massacro di almeno un milione di meridionali e lo spietato saccheggio economico, commerciale e culturale perpetrato ai nostri danni. Non c'è proprio nulla da festeggiare, almeno dalle nostre parti: viene negata la pura verità dei fatti.”

”il massacro di almeno un milione di meridionali”, dice Eddy Napoli… “Forse esagerano gli storici che, leggendo il Risorgimento in chiave borbonica, sostengono che il Meridione pagò l'Unità con 700.000 vittime. E probabilmente è un impeto di polemica quello che porta Antonio Ciano a ipotizzare un milione di morti. Ma, certo, la parola MASSACRO non è né gratuita né esagerata.”, scrive Lorenzo Del Boca nel suo “Maledetti Savoia” del 1998…

E sempre attingendo a qualche frase estrapolata dai Del Boca, Angelo e Lorenzo, vorrei qui soffermarmi su di una pagina di questa “Malaunità” che non conoscevo e che mi tocca molto da vicino in quanto originario delle valli tra Chisone e Pellice. Purtroppo dalle mie parti la storiografia sembra ridursi a due soli argomenti: la secolare resistenza dei Valdesi contro le persecuzioni inflitte loro da piemontesi e francesi e la resistenza contro i nazi-fascisti… Si tratta di pagine epiche e gloriose che certo non vanno taciute ma rimangono, a mio avviso, un po’ troppo autocelebrative e autoreferenziali se invece si tacciono altre pagine di storia ben meno fulgide, anzi, nere e raccapriccianti.
Sono quarant’anni che bazzico la Val Chisone e avrò visitato il celebre Forte di Fenestrelle almeno una decina di volte ma – colpa mia, ma colpa anche del silenzio della storiografia ufficiale – non sapevo che quella fortezza ciclopica non è mai servita a un cazzo se non a farci morire dentro centinaia, forse migliaia di prigionieri. E tra le tetre, fredde e imponenti mura di quel forte a morire come mosche furono soprattutto soldati borbonici, briganti e contadini del nostro sud Italia, lì deportati e imprigionati a migliaia…

fortefenestrelle2



“Definiti ‘sbandati’, perché si erano rifiutati di entrare a far parte dell'esercito nazionale, furono deportati, in oltre 10.000, al Nord, in carri bestiame, e smistati in varie località: Genova, Alessandria, Bergamo. Per i più riottosi si aprirono le porte del forte di San Maurizio Canavese, del Castello Sforzesco di Milano e del forte di Fenestrelle, un autentico campo di repressione. Riferisce [il giornalista e saggista napoletano, ndr] Gigi Di Fiore descrivendo il forte di Fenestrelle:“I più deboli abituati al clima delle Due Sicilie, per la prima volta nella loro vita cosi lontani dalle loro terre di origine crollavano [...]. Per motivi igienici ed essendovi difficoltà a seppellire i cadaveri, molti corpi vennero gettati nella calce viva in una grande vasca, ancora visibile, dietro la chiesa all'ingresso principale del forte.”
(Angelo Del Boca, “Italiani, brava gente”, pp. 66-67)

“Le vittime furono migliaia, anche se non vennero registrate da nessuna parte. Morti senza onore, senza tombe, senza lapidi, senza ricordo. Morti di nessuno. Terroni.”
(Lorenzo del Boca, “Maledetti Savoia”, 1998, pag. 146).
[Venivano invece registrate sui libri parrocchiali le morti avvenute nell’ospedale del forte-prigione: una cinquantina i nomi, tutti di giovani tra i 20 e i 30 anni, deceduti tra il 1860 e il 1865… ndr]

“I prigionieri aumentavano di numero in modo esponenziale. Il generale Manfredo Fanti scrisse a Cavour per chiedergli di noleggiare all'estero dei vapori perchè c'erano 40.000 prigionieri da spedire al Nord e la Marina non era in grado di fare da sola. Fu necessario attrezzare altri campi: uno poco distante da San Benigno Canavese, un altro ad Alessandria e un altro ancora a Fenestrelle, all'imbocco della Val Chisone che, dai tempi antichi, era stata fortificata con un sistema di caserme appollaiate come nidi d'aquila a 1.200 metri per resistere a possibili invasioni a opera dei francesi. Per essere certi che lassù, accanto ai ghiacciai, la vita dei prigionieri fosse davvero dura, i piemontesi si preoccuparono di strappare le finestre dei dormitori.”
(Lorenzo del Boca, “Maledetti Savoia”, 1998, pag. 145).

Il Forte di Fenestrelle, oggi monumento simbolo della Provincia di Torino, fu un campo di concentramento per la gente del meridione. Il primo campo di sterminio dell’Italia unita.
E ancora oggi la reticenza è fortissima… Per esempio, sul sito ufficiale del Forte non si fa che un rapido cenno alla carneficina che si svolse dietro le sue mura tra il 1861 e la fine del decennio. Inoltre si afferma che in quella terribile prigione furono internati solo militari, mentre è noto che vi furono rinchiusi, e vi trovarono spesso la morte, anche civili e “combattenti irregolari”, quelli che si suole chiamare “briganti”: un esempio, la famigerata e feroce brigantessa calabrese Maria Oliverio detta Ciccilla, condannata e morte e poi all’ergastolo e morta proprio a Fenestrelle a 38 anni nel 1879, dopo 15 anni di durissima prigionia.
Nuie simmo figlie d’’o sole e d’’a neve,
nuie simmo cielo nuie simmo ‘sti pprete.
‘n’arraggia ‘n’cuorpo ‘a ‘nu tiempo luntano
c’‘a cchiù ‘e cient’anne c’abbrucia ‘int’‘e mmane.

Tiempo‘e ‘nu viento che ‘nquieta ‘sti fronne,
tiempo‘e ‘nu mare che smove chest’onne,
tiempe passate, tiempe ‘e ‘sti iuorne,
tiempo c’asciutta e tiempo che ‘nfonne.

Mane che scrivono e sporcano ‘a storia,
‘nfame e assassini che saglieno ‘n gloria.
Mane c’arrobbano femmene e terre,
e che pretenneno ‘e tasse ‘e ‘na guerra.

Guerra c’accire criature e ‘nnucente
e c’ha redutto ‘sta gente pezzente,
gente d’ammore istruita e brillante
primma brigante e doppo emigrante.

Oè !
Me sì frato tu a mme?!
E dimme pecchè
fierro e fuoco pe mme.

Oè !
… e sì frato tu a mme ?!
E nun dirme che d’è
‘sta bandiera, pecchè
nun tengo niente ‘a vedè !

Tu piemontese, ‘nu miezo francese,
stive ‘guaiato fra diebete e spese.
Sì addeventato grand’ ommo e sovrano
cu ‘e sorde d’’e banche napulitane.

Nun cunuscive ne’ onore e crianza
penzave sulo a te regnere ‘a panza,
dicive ca io nun tenevo ‘nu dio
mentre t’arrubbave tutt’‘o sanghe mio.

Sì stato bravo a ‘nventarte ‘na guerra
cu ‘a scusa ca simmo tutte fratelli,
e senza manco ‘na dichiarazione
cacciaste fore chi era ‘o padrone.

Te sì pigliato certezze e speranze
e‘nce dato sulo miseria e‘nguranza,
po’‘nce lassato‘na granda zavorra:
‘ndrangheta mafia munnezza e camorra.

Malaunità Malaunità
Malaunità Malaunità
Malaunità Malaunità
Malaunità Malaunità

Oè!
Me sì frato tu a mme ?!
E dimme pecchè
fierro e fuoco pe mme.

Oè!
… e sì frato tu a mme ?!
E nun dirme che d’è
‘sta bandiera, pecchè
nuntengo niente‘a vedè !

Chi ‘nce levaie vita, ammore e memoria,
so’ eroi abusivi ‘int’’e libre d’’a storia,
storia carogna che sporca chest’aria,
storia buciarda ‘e chi ha fatto‘st’italia

Malaunità !

Contributed by Bart Pestalozzi - 2010/9/6 - 11:16


Apprezzo molto la competenza culturale ed il coraggio dell'Autore, insieme alla bravura nell'aver realizzato la bella, chiara e avvincente canzone, che rimarrà nel cuore di chi non ha deformato e non ha dimenticato quei momenti storici. Solo la speranza di una giustizia eterna può sopire l'inquietudine e la tristezza degli animi onesti e non trasformare in odio il legittimo disappunto.
Grazie a Eddy. W la memoria del Regno delle due Sicilie.
Valerio

Valerio - 2015/1/10 - 11:08


La storia e' scritta dai vincitori. A noi popolo del Sud e' stato tolto l'avvenire..Siamo stati sacrificati sull'altare di un mito falso e cinico.. Nulla abbiamo a che spartire con coloro che hanno deoredato e messo a ferro e fuoco una terra bellissima e sfortunata. Viva le Due Sicilie.

Athos - 2015/7/12 - 02:10


tutto deve essere portato alla chiarezza degli italiani e fare sapere gli uomini che erano quelli del risorgimento che riempono le nostre strade che per ironia della beffa omaggiamo noi togliamo questi esseri indegni di essere chiamati patrioti della nostra bella italia non voglio infangare ma dire la verita delle strgi che hanno fatto e sono documentati di bronte pontelandolfo etc- e non come dice lo storico piemontese le balle su fenestrelle non ci sono documenti e il sig.ministro che voleva una isola da mandare i sottosviluppati come nordafricani ecco l epitaffio dato al resto degli italiani dove mandare quei poveri prigionieri lo storico non vede questo certo deve coprire le nefandezze dei suoi come il famoso bossi che tanto ha speculato sul meridione lui che non ha mai lavorato e si e visto che fine ha fatto vergogna chi ha il potere di fare vedere tutte queste notizie dire ai nostri figli la verita e fare studiare la chiara storia italiana.grazie a tutti che hanno la forza e la volonta della verita.

capered-1948@libero.it - 2016/1/10 - 14:54


malapunteggiatura (o ma la punteggiatura?)

CCG Staff - 2016/1/10 - 15:08


Condivido tutto quanto sopra riportato e continuo ad inorridire come la prima volta che seppi, nel lontano 1960, in occasione del centenario dell'aggressione garibaldina (sarebbe meglio dire garibaldesca, cioè aggressione brigantesca),sponsorizzata da Inghilterra e Francia e, da dietro le quinte, anche da un giovane zio Sam!
Purtroppo gli "storici" attuali non sono da meno di quelli che aiutarono a scrivere i primi libri di storia dopo la forzata unificazione. Non sono da meno i politici, anche quelli che ricoprono cariche istituzionali: tutti succubi e proni alla vulgata savoiarda. Poi c'è un professorino (ma ormai anche lui sta invecchiando!) che ha scritto addirittura un libro per difendere Fenestrelle dichiarando che trattasi di tutte invenzioni dei meridionali, dei neoborbonici. Ovviamente tra questi vanno annoverati anche i Del Boca: tutti revisionisti! Come se la storia fosse un qualcosa di statico che non si nutre di sempre nuovi reperti e documenti ritrovati da ricercatori scevri da sordide incrostazioni politiche e pseudostoriche che hanno sempre afflitto gli studi e la ricerca in questo paese retrogrado e conservatore che stenta a mettersi al passo col resto del mondo, proprio perché nato sotto la cattiva stella del tradimento, dell'inganno, della sopraffazione ancor oggi non chiariti agli italiani. La vergogna è tanta per 150 anni di silenzio omertoso, ma non è mai troppo tardi per dire ufficialmente la verità, anche se costa la caduta clamorosa di tanti piedistalli eretti nel frattempo per tanti uomini indegni, anche meridionali!, che contribuirono a questo scempio.

Italo Zamprotta - 2016/12/9 - 19:41


Per opportuna conoscenza:

FENESTRELLE E IL GENOCIDIO (INESISTENTE) DEI BORBONICI

di Massimo Novelli da La Repubblica Torino del 3 agosto 2012

Quanti furono i prigionieri di guerra borbonici e papalini che morirono al forte San Carlo di Fenestrelle tra il 1860 e il 1865, dopo il crollo del Regno delle Due Sicilie e la proclamazione del Regno d’Italia? Per Juri Bossuto e Luca Costanzo, autori del saggio “LE CATENE DEI SAVOIA”, in uscita a settembre con l’Editrice Il Punto-Piemonte in Bancarella, il loro numero ammonta a circa una quarantina. Si tratta dunque di una cifra ben diversa da quella fissata in decine di migliaia di presunte vittime sterminate nei presunti lager sabaudi, che da anni, tra siti Internet e libelli vari, vengono contrabbandate senza il sostegno di alcuna fonte archivistica, o di altro tipo, dalla pubblicistica neoborbonica e antiunitaria. L’anno scorso, sempre in estate, Bossuto e Costanzo avevano anticipato l’esito del loro lavoro basato su documenti parrocchiali, militari e civili dell’epoca, tirandosi addosso insulti e persino minacce. Ora il libro, che peraltro non si limita alla vicenda dei “napoletani” ma prende in esame il sistema carcerario e repressivo piemontese dal 1700 al fascismo, non fa che confermare quelle intuizioni.

Le catene dei Savoia


Tanto che lo storico Alessandro Barbero, che ha scritto la prefazione, può affermare che il lavoro dei due ricercatori piemontesi “non è soltanto opera di storia, ma necessario intervento civile”, che smonta una “invenzione”: “Parlo d’invenzione, che è parola forte se usata fra storici, e lo faccio a ragion veduta, perché Bossuto e Costanzo dimostrano tangibilmente che per quanto riguarda Fenestrelle ciò che è stato scritto da autori come Fulvio Izzo, Gigi Di Fiore, Lorenzo Del Boca o Pino Aprile è pura invenzione, non si sa quanto in buona fede”. Lo stesso Barbero rammenta di stare conducendo “una ricerca complessiva sullo scioglimento dell’esercito borbonico, il trattamento dei prigionieri e degli sbandati napoletani, e la loro incorporazione nell’esercito italiano, e ogni documento che mi passa tra le mani attesta che i libri di quegli autori contengono, in proposito, innumerevoli inesattezze e falsità, facilmente documentabili e dimostrabili”.
“Circa quaranta decessi in cinque anni tra soldati borbonici, ormai appartenenti ai Cacciatori Franchi (italiani, ndr) e papalini”, ricordano Bossuto e Costanzo, “significavano il doppio di quanto accadeva normalmente” a Fenestrelle. Però “in queste cifre, più che un genocidio etnico, si poteva osservare il macabro frutto di una profonda nostalgia, unita forse ad equipaggiamenti non adatti a quell’ambiente di alta montagna”. Dalla “corrispondenza ritrovata” traspare poi “un’attenzione continua dai caratteri umanitari” verso i militari napoletani, non “tralasciando mai di evidenziare l’essere i prigionieri di guerra soprattutto soldati che meritavano il medesimo trattamento riservato ai commilitoni sabaudi”.
Lo scopo che “si prefiggeva la traduzione dei soldati del 'disciolto esercito borbonico' nelle fortezze di Fenestrelle” era “quello di “ricevere, disarmati, una lezione di moralità militare, dopo la quale verrebbero inviati ai Reggimenti del nuovo Stato italiano. Uno scopo, perciò, incompatibile con qualsiasi soluzione finale nei loro confronti”. Nel libro viene anche sfatata la “presunta e folle, se fosse vera, prassi di gettare e sciogliere nella calce viva i soldati napoletani appena giunti a Fenestrelle, come sostiene “uno dei tanti siti filoborbonici”. La calce viva “posta sui cadaveri era la prassi cui tutte le sepolture dovevano essere soggette per motivi d’igiene, all’epoca”.

Bernart Bartleby - 2016/12/10 - 11:53


Sempre per opportuna conoscenza, sulla banditessa calabrese Ciccilla si legga Ciccilla: una brigantessa fra storia e letteratura, una ricerca condotta da Silvio Cosco dell'Università di Siviglia:

“[...] Ciccilla fu condannata a morte. La pena esemplare, dopo una campagna di sensibilizzazione, fu commutata dal re in un ergastolo scontato, secondo alcune fonti, presso la fortezza di Fenestrelle. Nel famigerato lager piemontese per meridionali, nella Val Chisone, sarebbe morta 15 anni dopo.
La morte della brigantessa calabrese nel gelido forte alpino riflette un’idea romantica e letterariamente efficace, ma probabilmente falsa: la fortezza era un carcere prettamente maschile. È più verosimile pensare ad una Ciccilla tornata in libertà e forse anche al brigantaggio, aiutata da qualche potere forte verso cui si era dimostrata comprensiva negli anni delle scorribande con
Monaco. L’incertezza è comunque dettata dall’introvabilità del certificato di morte. [...]”

Bernart Bartleby - 2016/12/10 - 12:17




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