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Honte à qui peut chanter

Georges Brassens
Lingua: Francese


Georges Brassens


brasschat
[ca. 1980]
Parole di Georges Brassens
Musica di Jean Bertola
Paroles de Georges Brassens
Musica di Jean Bertola
Intepretata da Jean Bertola e Maxime Le Forestier (in "12 nouvelles de Brassens - Petits bonheurs postumes", 1996)
Interprétation: Jean Bertola et Maxime Le Forestier (dans "12 nouvelles de Brassens - Petits bonheurs postumes", 1996).


Brassens avec Jean Bertola



Questa è la seconda di due canzoni di Brassens (l'altra è Entre la rue Didot et la rue de Vanves) che a lungo tempo mi hanno fatto esitare, prima di inserirle. Canzoni contro la guerra lo sono, diavolo se lo sono; soltanto che lo sono "alla Brassens". Sono da prendere con le molle, esattamente come la più celebre Les deux oncles. Peraltro, si tratta di due canzoni postume: di esse fu ritrovato soltanto il testo nei famosi quaderni a quadretti di Brassens, mentre la musica fu composta "ad hoc" da Jean Bertola, che per primo le interpretò. Sicuramente a questo è dovuta la loro minore fama; ma in esse c'è veramente tutto Brassens, sono veramente una "summa" del suo pensiero e della sua opposizione assoluta alla guerra. Un'opposizione talmente assoluta, com'è noto, che da molti è considerata una sorta di disimpegnato qualunquismo in salsa anarchica (sebbene Léo Ferré usasse dire che, fra lui e Brassens, il più anarchico fosse quest'ultimo, cosa raccontatami da Alessio Lega che d'anarchia se ne intende).

Se non si trattasse, anche in questo caso, di una canzone postuma e musicata da un altro, che non ha mai ottenuto una grande diffusione, è probabile che lo scalpore che avrebbe suscitato sarebbe stato anche maggiore di quello provocato da "I due zii". Perché è una canzone, a modo molto suo, politica. Una delle pochissime in cui Brassens nomina degli avvenimenti storici contemporanei, dalla guerra di Spagna alla II guerra mondiale, dalla guerra d'Indocina a quella d'Algeria. Guerre, guerre e ancora guerre. Una delle sue ultimissime canzoni, lasciata nel solito cassetto, e che forse ci sarebbe rimasta perché Brassens si rendeva perfettamente conto del casino che avrebbe suscitato. E cosa faceva Brassens, durante tutti quegli avvenimenti? Cantava. E nel dire "Vergogna a chi canta", diceva ovviamente tutto il contrario; anzi, lo rivendicava. Cantava, peraltro, canzoni antimilitariste: perché in questa canzone che parla di canzoni, sono nominate Le déserteur, Quand un soldat e una canzone di un tizio ritenuto generalmente un collaborazionista, Maurice Chevalier, Ça fait d'excellents français, che è però, seppure blandamente, una canzone antimilitarista. Cantava le canzoni d'amore di Jacques Brel, nominato direttamente nel testo (fatto più unico che raro nelle canzoni di Brassens: un simile onore era toccato, prima, soltanto al padre Duval, la "calotte chantante", il sacerdote cattolico-cantautore che ebbe grande notorietà in Francia negli anni '50 e '60, ma che poi cadde vittima dell'alcoolismo). Cantava le canzonette allegre di Charles Trénet, il profeta dell' "insouciance".

"Vergogna a chi canta mentre Roma brucia: tanto non fa altro che bruciare". E' ancora una volta, e stavolta dichiarato apertis verbis, senza nessuna metafora, l'eterno messaggio di Brassens. Lanciato senza giri di parole poco prima della sua morte. Uno sfogo. Il ribadire a cosa si era sempre ispirata la sua vita: al rifiuto totale della violenza e della guerra, il non volerci stare a tutti i costi, anche a quello di essere considerato un qualunquista, qualcuno che se ne fregava di tutto ciò che gli accadeva intorno. Sappiamo che, in realtà, non fu così. E sappiamo anche che, sebbene ci faccia periodicamente incazzare come una jena, lo zio Georges ci manca terribilmente. Questa è l'ultima sua canzone che viene inserita nelle CCG. La sua sezione si chiude. Ed è brutto che non possa mai più essere riaperta, come quella di Brel, come quella di Fabrizio de André, come quella di tanti altri. Quel che ci hanno lasciato è questo; non possiamo che dire loro un enorme "grazie", sempre e comunque. [RV]
Honte à cet effronté qui peut chanter pendant
Que Rome brûle, ell' brûl' tout l' temps...
Honte à qui malgré tout fredonne des chansons
A Gavroche, à Mimi Pinson.

En mil neuf cent trent'-sept que faisiez-vous mon cher ?
J'avais la fleur de l'âge et la tête légère,
Et l'Espagne flambait dans un grand feu grégeois.
Je chantais, et j'étais pas le seul : "Y a d' la joie".

Et dans l'année quarante mon cher que faisiez-vous ?
Les Teutons forçaient la frontière, et comme un fou,
Et comm' tout un chacun, vers le sud, je fonçais,
En chantant : Tout ça, ça fait d'excellents Français.

Honte à cet effronté qui peut chanter pendant
Que Rome brûle, ell' brûl' tout l' temps...
Honte à qui malgré tout fredonne des chansons
A Gavroche, à Mimi Pinson.

A l'heure de Pétain, à l'heure de Laval,
Que faisiez-vous mon cher en plein dans la rafale ?
Je chantais, et les autres ne s'en privaient pas :
"Bel ami", "Seul ce soir", "J'ai pleuré sur tes pas".

Mon cher, un peu plus tard, que faisait votre glotte
Quand en Asie ça tombait comme à Gravelotte ?
Je chantais, il me semble, ainsi que tout un tas
De gens : Le déserteur, "Les croix", Quand un soldat.

Honte à cet effronté qui peut chanter pendant
Que Rome brûle, ell' brûl' tout l' temps...
Honte à qui malgré tout fredonne des chansons
A Gavroche, à Mimi Pinson.

Que faisiez-vous mon cher au temps de l'Algérie,
Quand Brel était vivant qu'il habitait Paris ?
Je chantais, quoique désolé par ces combats :
"La valse à mille temps" et "Ne me quitte pas".

Le feu de la ville éternelle est éternel.
Si Dieu veut l'incendie, il veut les ritournelles.
A qui fera-t-on croir' que le bon populo,
Quand il chante quand même, est un parfait salaud ?

Honte à cet effronté qui peut chanter pendant
Que Rome brûle, ell' brûl' tout l' temps...
Honte à qui malgré tout fredonne des chansons
A Gavroche, à Mimi Pinson.

inviata da Riccardo Venturi - 7/2/2006 - 19:14



Lingua: Italiano

Versione italiana di Riccardo Venturi
7 febbraio 2006
VERGOGNA A CHI CE LA FA A CANTARE

Vergogna a quello sfrontato che ce la fa a cantare
mentre Roma brucia ; tanto non fa che bruciare…
Vergogna a chi, nonostante tutto, canticchia canzonette
a un monello o a una sartina.

Nel 1937 cosa facevi, mio caro ?
Ero nel fiore dell’età e avevo la testa vuota.
La Spagna s’incendiava in un gran falò
e io cantavo, e non ero il solo, « C’è allegria ».

E nel ’40 cosa facevi, caro mio ?
I Teutoni passavan la frontiera, e io, come un matto,
e come tutti quanti mi precipitavo al sud
cantando « Tutto questo è degno d’ottimi francesi ».

Vergogna a quello sfrontato che ce la fa a cantare
mentre Roma brucia ; tanto non fa che bruciare…
Vergogna a chi, nonostante tutto, canticchia canzonette
a un monello o a una sartina.

All’ora di Pétain, all’ora di Laval,
cosa facevi, caro mio, preso in mezzo alla burrasca ?
Cantavo, ma neppure gli altri ne facevano a meno,
«Bel ami », « Soltanto stasera », « Ho pianto sui tuoi passi ».

Caro mio, un po’ dopo, che gorgheggiava la tua gola
quando in Asia volavan bassi come a Gravelotte ?
Cantavo, mi pare, proprio come un sacco di gente,
« Il disertore », « Le croci » e « Quando un soldato ».

Vergogna a quello sfrontato che ce la fa a cantare
mentre Roma brucia ; tanto non fa che bruciare…
Vergogna a chi, nonostante tutto, canticchia canzonette
a un monello o a una sartina.

E che facevi, caro mio, all’epoca dell’Algeria,
quando Brel era ancora vivo e stava a Parigi ?
Cantavo, sebbene dispiaciuto per quei combattimenti,
« La valse à mille temps » e « Ne me quitte pas ».

L’incendio della città eterna, appunto, è eterno.
Se Iddio vuole l’incendio, ne vuole pure la colonna sonora.
E a chi si farà credere che il bravo popolino
quando canta lo stesso è una massa di stronzi ?

Vergogna a quello sfrontato che ce la fa a cantare
mentre Roma brucia ; tanto non fa che bruciare…
Vergogna a chi, nonostante tutto, canticchia canzonette
a un monello o a una sartina.

7/2/2006 - 19:49




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