Filippo Turati

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Filippo TuratiFilippo Turati (Canzo, 26 novembre 1857 – Parigi, 29 marzo 1932) è stato un avvocato, politico e giornalista italiano.

Frequentò il liceo classico Ugo Foscolo di Pavia e sin da giovanissimo collaborò con varie riviste d'orientamento democratico e radicale.

La sua linea politica fu determinata molto dalle idee marxiste della compagna russa Anna Kuliscioff e dallo stretto rapporto con gli ambienti operai milanesi. Nel 1886 sostenne apertamente il Partito Operaio Italiano, fondato a Milano nel 1882 dagli artigiani Giuseppe Croce e Costantino Lazzari, per poi fondare nel 1889 la Lega Socialista Milanese, ispirata a un marxismo non dogmatico, che rifiutava apertamente l'anarchia. Dal 1891 al 1926 diresse la rivista Critica sociale. Pensò ad un organo in cui confluissero tutte le organizzazioni popolari, operaie e contadine: queste sue idee furono accolte nel congresso di Genova (1892), in cui nacque il Partito dei Lavoratori Italiani, divenuto Partito Socialista Italiano nel 1895, una formazione d'impronta riformista che utilizzava la lotta parlamentare per soddisfare le aspirazioni sindacali.

Nonostante Francesco Crispi tentasse di bandire tutte le organizzazioni di sinistra, Turati - eletto deputato nel 1896 - si fece fautore di un'apertura all'area repubblicana mazziniana e a quella radicale, nel tentativo di dare una svolta democratica al governo. Nel 1898 fu messo agli arresti, con l'accusa d'aver guidato la protesta dello stomaco di Milano, ma fu liberato l'anno dopo tramite indulto e fece ostruzionismo contro il governo reazionario di Luigi Pelloux.

Nel 1901, in sintonia con le sue istanze "minimaliste" (il cosiddetto programma minimo, che si poneva come obiettivi parziali riforme, che i socialisti riformisti intendevano concordare con le forze politiche moderate o realizzare direttamente se al governo), Turati appoggiò prima il governo liberale moderato presieduto da Giuseppe Zanardelli e successivamente (1903) quello di Giovanni Giolitti, che nel 1904 approvò importanti provvedimenti di legislazione sociale (leggi sulla tutela del lavoro delle donne e dei bambini, infortuni, invalidità e vecchiaia; comitati consultivi per il lavoro; apertura verso le cooperative). A causa, però, della strategia politica messa in atto dallo stesso Giolitti, che eliminava la fazione massimalista (capeggiata da Arturo Labriola ed Enrico Ferri) del PSI, nel congresso di Bologna dello stesso anno, la "corrente" di Turati fu messa in minoranza.

La corrente riformista tornò a prevalere nel congresso del 1908; negli anni seguenti Turati rappresentò la personalità principale del gruppo parlamentare del PSI, generalmente più riformista del partito stesso. In questa veste si ritrovò come l'interlocutore privilegiato di Giolitti, che stava allora perseguendo una politica di attenzione alle emergenti forze di sinistra. La crisi della guerra di Libia del 1911 provocò però una frattura irrimediabile tra il governo giolittiano e il PSI, in cui peraltro stavano di nuovo prevalendo le correnti massimaliste.

Fu favorevole all'interventismo dopo la disfatta di Caporetto del 1917, convinto che in quel momento la difesa della patria in pericolo fosse piu importante della lotta di classe.

Nel dopoguerra e dopo la Rivoluzione d'Ottobre il PSI si spostò sempre più su posizioni rivoluzionarie, emarginando i riformisti; nel 1922 Turati fu infine espulso dal partito e diede vita al Partito Socialista Unitario.

A seguito del delitto Matteotti partecipò alla secessione dell'Aventino, e nel 1926 a causa delle persecuzioni del regime fascista, fu costretto a fuggire in Francia (con l'aiuto di Carlo Rosselli e Sandro Pertini), e qui svolse un'intensa attività antifascista. Nel 1930 collaborò con Pietro Nenni per la riunificazione del PSI.

Turati si definiva marxista, interpretando la dottrina in maniera non dogmatica; l'emancipazione del proletariato costituisce l'obiettivo, ma si deve mirare ad ottenerla attraverso le riforme.

Tutto ciò che può portare ad un miglioramento è buono, anche se calato dall'alto; il socialismo è la stella polare della società, ma sino al suo avvento è bene cooperare con il capitalismo. Vi sono situazioni in cui la cooperazione non va rifiutata dai socialisti, le riforme possono essere più positive della contrapposizione di classe; vi sono tanti socialismi che possono e devono adeguarsi ai vari stati e alle varie epoche.

Quello di Turati era un socialismo che rifiutava ogni suggestione del tutto e subito. Turati era, comunque, un socialista a tutti gli effetti perché aveva come obiettivo il trasferimento della proprietà dei mezzi di produzione in mano pubblica. Il proletariato non si può emancipare di colpo, non si può credere nell'”illuminazione” rivoluzionaria: non rivoluzione, ma evoluzione graduale.

Il tempo del socialismo è un lungo tempo storico fatto di mediazione e di ragionevolezza: il proletariato raggiungerà la maturità attraverso le riforme; il riformismo è lo strumento per arrivare alla consapevolezza e deve abituare il proletariato alla sua futura evoluzione. Compiti del riformismo sono quelli di educare le coscienze, di creare reale solidarietà tra le classi subalterne.

Per Turati, se il proletariato è ancora immaturo, la rivoluzione sarebbe dannosa: il massimalismo significa contestazione, non migliora la condizione del proletariato, non è detto che porti a dei risultati evocare una selvaggia lotta di classe; anzi, tale lotta di classe porterebbe alla distruzione dell’economia, costringendo il proletariato ad una miseria ancora più cruda.

Turati era un pensatore pacifista: la guerra non può risolvere alcun problema. È avversario del fascismo ma anche della rivoluzione sovietica, che è un fenomeno geograficamente limitato e non esportabile e che non fa uso di intelligenza, libertà, e civiltà.

Per Turati il fascismo non è solo mancanza di libertà ma minaccia per l’ordine mondiale: egli individua elementi comuni tra fascismo e comunismo sovietico perché entrambi ripudiano i valori del parlamentarismo. In quest'ottica, vale la pena di fare un pezzo di strada assieme al liberalismo per difendere la libertà. Queste tesi erano in collisione con la dottrina del socialfascismo adottata fino al 1935 dal Comintern e quindi dal partito comunista italiano.

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