Our Native Daughters

Canzoni contro la guerra di Our Native Daughters
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Our Native DaughtersRhiannon Giddens, Amythyst Kiah, Leyla McCalla, Allison Russell

Quattro suonatrici di banjo ripensano la storia delle donne afro-americane, guardando agli avvenimenti contemporanei della loro nazione. Stiamo parlando di Rhiannon Giddens, Amythyst Kiah, Leyla McCalla ed Allison Russell, che hanno registrato “Songs of our Native Daughters” nella Cypress House di Breaux Bridge – nel bayou della Louisiana – , una struttura costruita nella metà dell’Ottocento, dove Giddens, mente di questo progetto, aveva inciso già “Freedom Highway, disco dedicato agli “human rigths”.Come in quel lavoro, anche “Songs of our Native Daughters” è prodotto da Dirk Powell (qui suona anche chitarre, mandolino e fisarmonica, piano, tastiere e violino), con la sezione ritmica con cui Giddens lavora da tempo (Jamie Dick alla batteria e percussioni e Jason Sypher al basso). L’album esce per la Smithsonian Folkways, la label discografica folk per eccellenza, nella collana “African American Legacy Recordings”. È un ribaltamento di prospettiva, perché nell’immaginario dei più il banjo, strumento che racconta la storia musicale americana: dal minstrel show al country & bluegrass fino al folk di protesta degli anni Sessanta del Novecento, è uno strumento identificato come maschile e ad appannaggio dei bianchi. Diversamente, com’è noto le sue origini sono nell’Africa occidentale e le sue trasformazioni sono parte dei sincretismi della cultura afro-americana. Giddens e le sue compagne afro-americane si riappropriano del cordofono: le banjoiste (a cinque corde, tenore, versione minstrel) hanno assemblato tredici canzoni politiche e militanti che parlano di diritti delle donne e di razzismo, partendo dalla condizione schiavista del passato fino ad arrivare alle questioni irrisolte del presente e all’attualità di movimenti come #MeToo e #BlackLivesMatter. 

Scrive nella presentazione Giddens che l’idea del progetto è scaturita durante una visita allo Smithsonian National Museum of African American History di Washington, per svilupparsi, poi, dopo lunghe riflessioni suscitate da immagini forti della classica pellicola “Nascita di una Nazione” di Nate Parker, in cui le emozioni e le reazioni di una donna nera violentata sono completamente negate dall’occhio della camera per dare spazio unicamente alla reazioni del marito.